Italiani diversi: Rapporto Migrantes Italiani nel Mondo 2010
di Giancarlo Perego, Direttore generale Fondazione Migrantes
Roma, 2 dicembre 2010
E’ la prima volta che presento il Rapporto Italiani nel mondo, giunto alla sua quinta edizione. Non è quindi senza un pizzico di emozione che inizio questa presentazione, sapendo di rappresentare anche una realtà ecclesiale che, oggi attraverso la Fondazione Migrantes, da sempre è vicina alle gioie e ai drammi del mondo dell’emigrazione italiana. Nella presentazione ho voluto fermarmi a indicare alcuni criteri che possono aiutare la lettura del Rapporto 2010, legandola all’attualità del Paese e traendone una stimolante conclusione, senza ricorrere a toni celebrativi. Si tratta di sei criteri, che voglio esporre molto semplicemente, senza nascondere i contorni di problematicità che essi presentano ma anche senza tacere sugli stimoli che ne possono derivare.
1.Nell’inquadramento dell’emigrazione prevale l’insensibilità. Non si può tralasciare una constatazione negativa: in Italia si riscontra uno scarso livello di sensibilità rispetto ai connazionali all’estero. In realtà, si tratta di un numero quasi pari a quello degli stranieri residenti in Italia: più di quattro milioni di persone, con caratteristiche di grande interesse che sono state ampiamente commentate nel “Rapporto Italiani nel Mondo 2010”. Questa vera e propria disaffezione concettuale rischia di farci diventare un Paese dalle radici dimenticate e viene anche da pensare a che cosa siano serviti gli investimenti fatti in strutture, viaggi, visite, convegni e progetti e la stessa normativa finalizzata al recupero della partecipazione al voto degli emigranti. Questa carenza genera una profonda amarezza, perché, come vedremo, la rete degli italiani all’estero potrebbe fornire all’Italia spunti di rinnovamento in questa persistente fase di stallo aggravata dalla crisi europea e internazionale.
2.L’italianità è qualcosa di più della cittadinanza in un mondo globalizzato. Oltre ai 4 milioni con la cittadinanza italiana vi sono nel mondo tra i 60 e gli 80 milioni di discendenza italiana, i cosiddetti oriundi. Sussiste un’area di interesse che va oltre la realtà giuridica e che può tornare di grande aiuto in un mondo globalizzato, dove a consentire l’affermazione sono le reti. Noi abbiamo due reti: quella degli italiani nel mondo e quella dei cittadini stranieri in Italia, che costituiscono un ponte rispetto ai loro Paesi di origine con innumerevoli ramificazioni. Purtroppo, stiamo trascurando la valorizzazione dell’una e dell’altra rete.
3.La mobilità non è un residuo di altri tempi. La mobilità, è una caratteristica fondamentale del mondo di oggi. Sbagliamo a pensare la realtà all’estero con l’immagine di poveri, di disagiati, un fenomeno senz’altro del passato anche se la voglia di riuscita che l’animava tornerebbe estremamente utile anche oggi. La mobilità è la cifra della modernità, perché tutto cammina velocemente. Le persone e le famiglie italiane che vivono all’estero sono molto diverse rispetto a quando erano partite. Quelli che si spostano oggi sono molto diversi a quelli che si partivano dai nostri paesi e dalle nostre città alcuni decenni fa. Il bisogno non è, per lo più, quello della sopravvivenza bensì quello dell’affermazione professionale, della messa a frutto dei propri studi, della valorizzazione delle proprie capacità imprenditoriale, dell’interesse a sintesi culturali più ampie, della formazione universitaria, oggi favorita anche da progetti europei (pensiamo all’Erasmus). Trattandosi di veri valori e di importanti risorse anche oggi, come nei flussi del passato, è possibile attuare una sintesi dell’italianità tra vecchio e nuovo, pensare una identità plurima, tra memoria e cronaca.
4.L’emigrazione è la parafrasi della riuscita nella propria vita. Specialmente nel passato sono partite persone e famiglie povere, ma anch’esse, come i ‘cervelli’ di oggi sono accomunati dalla volontà di riuscire. Il successo, e questo vale anche per chi è rimasto in Italia o è giunto in Italia da altri Paesi, è un buon metro di misura a condizione che venga impostato su criteri validi: per gli emigrati il riferimento è alla volontà di inserimento sul posto, all’apprendimento della lingua, alla piena operatività nel contesto lavorativo, all’attaccamento alla famiglia, all’impegno per l’educazione dei figli e a una buona radice culturale. Sotto questo aspetto, l’emigrazione italiana è stata ammirevole e può dirsi pienamente riuscita perché, pur partendo da condizioni veramente sfavorevoli sul piano delle tutele, già alle prime generazioni e ancor di più alle seconde, è riuscita a realizzare un soddisfacente livello di integrazione. È comprensibile che le citazioni anche del Rapporto 2010 vadano sovente a figure esemplari, ma la base più significativa è proprio quella della gente comune.
5.La categoria del “ritorno” è più ampia di quanto si pensi. Solitamente per ritorno si intende il rimpatrio fisico dei connazionali, un fenomeno che continua ma che, rispetto al passato, ha dimensioni molto più limitate. Ha assunto, invece, una grande ampiezza quello che possiamo chiamare il “ritorno virtuale”: il ritorno di esperienze, di idee, di modelli, di scambi, di iniziative congiunte, in una parola di reciproco coinvolgimento. È questo apporto che rischia di mancare all’Italia, in questo momento attraversata da una grave crisi, non solo sul piano economico ma anche a livello della vita e dei legami sociali. Tra paure, diffidenze e insofferenze, il concetto di “straniero” ha assunto un’accezione così negativa che neppure pensiamo che possano essere una risorsa gli italiani fuori d’Italia, che pure hanno assimilato lo spirito dei numerosi paesi esteri nei quali si sono insediati.
6. È necessario un cambiamento anche sotto l’aspetto religioso e pastorale. La Chiesa Italiana, come la società civile e politica di fine Ottocento – fatta eccezione di alcune grandi figure di Pastori come Bonomelli a Cremona, Sarto (il futuro Pio X) a Mantova, Scalabrini a Piacenza – stentò a capire la rilevanza del fenomeno migratorio, e sotto l’influenza di una visione emergenziale la prima risposta si preoccupò dell’assistenza religiosa e spirituale agli immigrati. Dopo la pubblicazione dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, il fenomeno migratorio è stato inquadrato come parte integrante della questione sociale e operaia, ed è stato profuso un notevole impegno per favorire la sua promozione e la sua tutela, oltre che per superare una concezione restrittiva delle frontiere a beneficio del diritto delle migrazioni e della coabitazione tra i popoli. Oggi il vissuto religioso ed ecclesiale degli italiani nel mondo è chiamato a questa evoluzione che unisce la dimensione locale con quella globale. Questo chiede di riscoprire anche la religiosità popolare con le sue profonde radici di fede che continuano a rimanere valide, ma dentro un contesto profondamente cambiato, che chiede soprattutto in Europa una ‘nuova evangelizzazione’. Bisogna riconoscere che la comune religione (e il sostegno della Chiesa tramite i numerosi missionari, le religiose), le tradizioni (feste, devozioni, pellegrinaggi), la lingua (inizialmente l’uso del dialetto), come anche il cibo, i giornali italiani che hanno sostituito la piazza e l’ambiente del paese, l’associazionismo sono stati strumenti e luoghi importanti per tenere uniti gli italiani nel mondo. Il Rapporto Migrantes 2010 entra nel merito anche di questi aspetti religiosi ed ecclesiali, spinta dall’interesse di valorizzare anche la religiosità popolare, cioè senza cancellare ogni legame culturale e rituale con il passato, con l’obiettivo sempre più fermo di portare le comunità di italiani nel mondo, a diventare un valore aggiunto nelle Chiese d’Europa, valorizzando anche la propria storia religiosa per una crescita di unità nelle Chiese locali. E’ un cammino necessario da intraprendere, per immaginare oggi la Chiesa Italiana dentro un contesto europeo e globale.
In conclusione, per il rinnovamento del Paese, va rivalorizzato l’apporto necessario degli italiani all’estero. La Chiesa italiana ha maturato un’ esperienza di un secolo e mezzo tra gli italiani nel mondo e la Fondazione Migrantes rappresenta attualmente la continuità di questo impegno. Un impegno che oggi vuole continuare, coniugando ancora evangelizzazione e promozione umana, educando all’incontro, nella consapevolezza del valore di una cittadinanza globale da costruire insieme (come ricorda Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni 2011), superando valutazioni e critiche di parte. La nostra storia e vita di Chiesa tra gli emigranti ci porta a dire con determinazione che oggi siamo noi maggiormente ad avere bisogno dell’aiuto degli emigranti, anche se quello dell’assistenza agli emigranti è un capitolo tutt’altro che chiuso. Tutti gli italiani all’estero, anche coloro il cui progetto migratorio non ha avuto un successo eccezionale, hanno stabilizzato la loro situazione. Ora non è più tempo di mantenere una mentalità rivendicazionista o assistenzialista nei confronti della Patria, sempre più in difficoltà nei confronti di nuovi e agguerriti competitori sullo scenario mondiale. In un Europa e in un’ Italia dove ristagnano gli investimenti, aumenta il debito pubblico e diminuisce la competitività aumenta la disoccupazione l’emigrazione ricorda il valore aggiunto di investire sui giovani, di valorizzare la mobilità universitaria, di facilitare una comunicazione diffusa. Tutto questo chiede, dentro un confronto politico e dentro un dialogo sociale costruttivo e sereno, di connettere strettamente l’emigrazione con le riforme strutturali, di qualificare il sistema universitario, la ricerca, i servizi, di investire sui giovani, guardando al futuro.
La Fondazione Migrantes è convinta che è tempo di affermare un nuovo concetto di solidarietà, che porta a rivolgere un accorato appello agli italiani che vivono nei più diversi Paesi del mondo. Non sarebbe accettabile un sentimento di disaffezione nei confronti dell’Italia attuale, quasi che la Patria possa essere grande solo per il suo passato, come un museo e non come una protagonista di quanto avviene attualmente a livello economico, culturale, artistico e politico.
Affinché l’Italia riassuma il suo ruolo e rivitalizzi il dinamismo del passato, è indispensabile un aiuto di ritorno da parte degli emigrati italiani, protagonisti in paesi le cui esperienze presentano stimoli utili. Solo così si potrà riattivare un dinamismo rimasto inceppato e rinascerà la convinzione che l’Italia può riprendersi e cambiare in meglio.
Questo è l’aiuto concreto che gli italiani nel mondo possono fornire in occasione del 150° anniversario dell’unità di Italia. Quello che serve oggi è questa nuova reciprocità sociale tra i cittadini italiani che vivono fuori e dentro il nostro Paese. Le azioni concrete, senz’altro, seguiranno. Il messaggio del Rapporto Italiani nel Mondo 2010 è che l’emigrazione italiana non è una realtà morta: basta solo riscoprirla oggi, dentro un contesto nuovo, diverso.