Il vescovo nei campi Rom “Questo è quarto mondo”
Fonte: www3.lastampa.it
L’appello: «Una città avanzata non può avere situazioni come in Brasile”»
MARIA TERESA MARTINENGO
Torino: Perché non mi fai mettere un materasso qui, in casa tua? C’è tanto posto», ha domandato domenica a monsignor Cesare Nosiglia, Giorgio, uno dei bambini rom che hanno partecipato al pranzo in Arcivescovado dedicato alle famiglie in difficoltà. E ieri l’arcivescovo è andato a vedere la casa di Giorgio, una baracca con annessa roulotte nel campo abusivo di lungo Stura Lazio. Una baracca che non somiglia per nulla alle case che Giorgio ed altri bimbi hanno disegnato con le matite colorate «per Cesare». «Uno di loro – ha raccontato Nosiglia – mi ha detto che da grande farà l’architetto perché vuole che i suoi fratelli abbiano una casa».
Una mattina di foto, di strette di mano, di abbracci, per l’arcivescovo con scarpe e pantaloni infangati che ha voluto rendersi conto in fretta di questa città nella città di solito negata. «I rom sono visti molto peggio degli extracomunitari. A Vicenza avevo fatto una lettera pastorale dedicata a loro, invitandoli a rispettare le regole, ad aprirsi, ma dedicata anche alla comunità. Il cammino per dare dignità e risposte in fatto di scuola, salute, casa, lavoro va fatto con loro, senza pensare solo che rubano e delinquono. Ai giovani bisogna dare speranza, favorirne l’integrazione».
Alle 9 monsignor Nosiglia ha visitato il campo comunale di via Germagnano con le casette alle quali qua e là si sono aggiunte baracche. Ma c’è il nido dei bimbi, ci sono famiglie «storiche» della ex Jugoslavia che hanno comunque un radicamento nella città. «È una situazione che sembra buona. Si vede che il Comune di Torino ha una strategia, so che qui un certo numero di rom ha avuto la casa. Poi, c’è la presenza importante di suore e laici che vivono nei campi, che conoscono la situazione dall’interno. La condivisione è la cosa migliore», ha commentato l’arcivescovo, accompagnato dall’assessore ai Servizi Sociali Marco Borgione, don Fredo Olivero direttore della Pastorale Migranti, da Carla Osella, presidente dell’Associazione Italiana Zingari Oggi.
Alle 10,15 è la volta di lungo Stura Lazio, della visita alla baracca della famiglia di Giorgio. Qui, accompagnato da Oliviero Alotto e Michele Curto di Terre del Fuoco, l’arcivescovo è entrato nella piccola chiesa ortodossa dove ha recitato il Padre Nostro e ringraziato i volontari, ha benedetto la scuola-baracca dove l’Aizo fa scuola alle donne. Non c’è voluto molto al vescovo per rendersi conto delle condizioni disumane in cui vivono i 500 rom (un terzo minori) della baraccopoli torinese, nel fango, sulla riva del torrente. «Qui le condizioni sono precarie. Servirebbe un coordinamento tra comuni, Torino non può far tutto da sola.
Serve senso di responsabilità, allora le condizioni di tutti migliorerebbero», ha commentato dopo aver ascoltato da Alotto la positiva esperienza del «Dado» di Settimo, con i rom protagonisti di un progetto di auto-recupero e autocostruzione, sostenuto dal Comune, dalla Compagnia di San Paolo e altri organismi. «Una situazione come questa l’ho vista in Africa e in Brasile: non può esistere in una città avanzata come Torino. Questo è quarto mondo. E se qualcuno pensa che il problema si possa risolvere con le espulsioni pensa alla soluzione dello struzzo. Bisogna trovare strade degne di una società civile».