Niente cittadinanza per aver dato del razzista al barman e insultato l’Italia.
Fonte: www.immigrazioneoggi.it
Il caso di un cittadino marocchino che, a sette anni dal fatto, si è visto negare la cittadinanza italiana per aver rovesciato il tavolo di un bar, insultato il gestore e definito l’Italia “in modo triviale”.
Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di un cittadino marocchino al quale era stata rifiutata la concessione della cittadinanza italiana a causa di un episodio verificatosi a Bergamo nel 1996 quando lo straniero si era rifiutato di lasciare libero il tavolo dopo oltre un’ora dalla consumazione presso un bar, aveva rovesciato il tavolo ed insultato sia il gestore, qualificato fra l’altro come “razzista”, sia il Paese ospitante, definito “in modo triviale”.
Secondo il Consiglio di Stato, anche se non sussistono motivi ostativi di particolare gravità, la cittadinanza italiana “può” essere concessa sulla base di valutazioni “altamente discrezionali” che si traducono in un apprezzamento di opportunità, connesso allo stabile inserimento, o meno, dello straniero nella comunità nazionale e nell’assimilazione dei relativi valori. Pertanto, precisa il Consiglio di Stato, la valutazione del Ministero dell’interno si deve basare su un complesso di circostanze, “atte a dimostrare l’integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità di condotta”. La condotta in questione, sia pur datata nel tempo e anche se non seguita da alcuna condanna penale, è stata giustamente ritenuta – conclude il Consiglio di Stato – “come espressiva di una non ancora avvenuta piena assimilazione dei valori costituzionali”. Ciò, ovviamente, non esclude che la domanda possa essere riproposta. In tal caso, fanno notare i Giudici di Palazzo Spada, considerato che sono oramai trascorsi dieci anni dal fatto, la valutazione del Ministero dell’interno dovrà tenere conto del superamento di tale limite, considerato rilevante dal legislatore quale “periodo di osservazione” dell’interessato (salve, beninteso, le situazioni di particolare gravità).