Cento giorni dopo (Egitto)
di Elisa Ferrero
Cari amici e amiche,
cento giorni sono passati dall’inizio della rivoluzione, come ha ricordato anche il Consiglio Supremo delle Forze Armate in uno dei suoi famosi comunicati. In occasione di questo “centenario”, si continuano a indagare i retroscena della rivoluzione. Il giornale al-Ahram, ad esempio, ha rivelato che l’esercito, in realtà, non è stato affatto sorpreso dalla rivolta di massa. Si aspettava infatti che sarebbe scoppiata non appena fosse stata del tutto chiara l’intenzione di passare il potere a Gamal Mubarak, rendendo così ereditaria la carica di presidente della repubblica. L’esercito era contrario a questo progetto, sostenuto invece dalla ex first lady Suzanne Mubarak. Le forze armate, dunque, si stavano preparando a sostenere la rivolta popolare, prevista più o meno in questo periodo. Tuttavia, gli egiziani hanno perso la pazienza in anticipo rispetto alle previsioni dell’esercito, che è stato così preso in contropiede.
Ma nemmeno oggi, un altro venerdì della primavera araba, le manifestazioni sono mancate in Egitto. Anzi, ci sono state ben quattro manifestazioni antagoniste in giro per il Cairo. La prima, partita dalla Moschea della Luce e giunta fino all’ambasciata americana, è stata organizzata dai salafiti per protestare contro l’uccisione di Bin Laden, per il quale è anche stata fatta una preghiera. Il giornale al-Youm al-Sabiaa dice che erano centocinquanta (è bene precisare, perché a sentire i mass media si trattava di masse intere). La seconda manifestazione, indetta dai cristiani per protestare contro il recente sit-in dei salafiti che volevano la liberazione di Kamilia (ma che oggi non hanno pensato che a Bin Laden), si è concentrata attorno alla cattedrale copta nel quartiere di Abbasiya. Presenti, forse, qualche migliaio di persone, non certo il milione che si era cercato di mobilitare. La terza manifestazione, invece, è stata in favore della Palestina e si è svolta di fronte all’ambasciata israeliana a Giza. La quarta manifestazione, infine, è avvenuta in piazza Tahrir, ma piuttosto che un evento omogeneo è stato un pot-pourri di dimostrazioni diverse, per lo più in sostegno delle altre rivolte arabe.
Non cessano neanche le attività dei baltagheya purtroppo. Il club dei giudici ha addirittura tenuto una riunione straordinaria per discutere di come proteggere i magistrati nei tribunali, assaltati di frequente dai teppisti, assieme a ospedali e negozi (l’ultima rissa, in una strada del Cairo, accaduta il giorno del compleanno di Mubarak, ha lasciato diversi feriti). La polizia, a detta dei testimoni, sembra ancora latitante in molti quartieri.
Mubarak non si è ancora mosso da Sharm el-Sheykh, ma il coroner che l’aveva esaminato, decidendo che le sue condizioni di salute non consentivano il trasferimento in prigione, è stato sostituito. Il nuovo coroner, Kamil Ihsan Georgy, dopo aver nuovamente visitato l’ex presidente (pardon, il presidente destituito come molti preferiscono chiamarlo), ha invece affermato l’esatto contrario, soltanto che il ministero degli interni sostiene che sono necessarie tre settimane per poter equipaggiare l’ospedale della prigione, in modo da accogliere Mubarak. Questa telenovela non finirà tanto presto…
La notizia interessante del giorno, tuttavia, è stata l’annuncio del prossimo aumento del 200% della spesa per la ricerca scientifica. Hanno capito che investire nella ricerca è fondamentale per la crescita del paese. Almeno loro, l’hanno capito.
Un saluto caro a tutti,
Elisa
p.s: il 4 e 5 giugno si svolgerà, a Bassano del Grappa, la festa degli amici di Macondo (ecco il link con l’interessante programma: http://www.macondo.it/2011/45-giugno-2011-venite-alla-festa/). Per chi vuole, e può partecipare, durante la festa ci sarà anche l’occasione di ascoltare l’intervento di Wael Farouq, una testimonianza diretta dall’Egitto da parte di uno dei protagonisti più assidui di questa newsletter.
Sunday, May 08, 2011 8:28 PM
il conflitto religioso, l’arma migliore per bloccare il cammino democratico (news n.95)
Cari amici e amiche,
ancora una volta mi vedo costretta ad affrontare il tema del conflitto religioso. L’eco provocata dalla notizia di nuovi scontri tra musulmani e copti in Egitto, riportata dai mass media italiani in maniera scarna, senza un adeguato approfondimento della situazione in cui versa il paese in questo momento, mi spinge a trattare un po’ più a fondo l’argomento.
Tutto ha avuto inizio ieri sera, con il radunarsi di alcune centinaia di presunti salafiti attorno alla chiesa di Mari Mina, nel quartiere popolare di Imbaba, al Cairo. I salafiti pensavano che nella chiesa fosse tenuta prigioniera una ragazza cristiana, Abir, convertitasi all’islam in seguito al suo matrimonio con un ragazzo musulmano. Secondo modalità tutt’altro che chiare, la manifestazione davanti alla chiesa si è quindi trasformata in una vera e propria battaglia con bombe incendiarie. L’esercito è giunto sul posto, ma ciò non ha impedito l’escalation degli eventi, che hanno infine portato all’incendio di due chiese e alcune case, alla morte di almeno 11 persone, musulmani e cristiani, e a centinaia di feriti, il cui numero si sta ancora tentando di accertare. Naturalmente, c’è stata subito una forte reazione di indignazione anche da parte dei musulmani, molti dei quali sono accorsi, fin dai primi istanti, per cercare di proteggere la chiesa assediata.
I fatti nudi e crudi appena descritti, tuttavia, con l’improvviso deflagrare degli eventi, hanno lasciato molti egiziani perplessi. Sia i giornalisti professionisti, sia gli attivisti sui social network, si sono dunque messi immediatamente in moto per indagare più a fondo. Ieri sera, con l’incalzare delle notizie, i ragazzi di Twotter si inviavano appelli reciproci a recarsi ad Imbaba per “coprire gli eventi” e cercare di comprendere qualcosa di più, rispetto a quanto diffuso dai mass media. Altri, invece, hanno cercato di contattare i salafiti di loro conoscenza per interrogarli sul loro coinvolgimento.
Il giornale al-Youm al-Sabia, dal canto suo, ha riferito oggi il racconto dello sheykh salafita di Imbaba, chiamato sul posto ieri sera dalle forze di sicurezza di Giza, che l’avevano avvertito di quanto stava succedendo. Giunto alla chiesa, lo sheykh ha interrogato uno dei giovani salafiti (lo sposo della ragazza?), il quale ha raccontato una storia piuttosto sconclusionata. Il ragazzo avrebbe sposato Abir tempo fa e lei si sarebbe convertita all’islam (va notato che, secondo la sharia, un musulmano è libero di sposare una cristiana senza che questa si converta all’islam, mentre non è vero il contrario). Tale conversione avrebbe suscitato l’ira della famiglia, che di conseguenza avrebbe rapito la ragazza, due mesi fa, per sottrarla al marito. Poi, ieri sera, Abir avrebbe chiamato il marito dalla chiesa di Mari Mina perché venisse a liberarla. Lo sheykh salafita è stato il primo a dubitare di questa storia inverosimile. Tanto per cominciare, perché non denunciare la sparizione della ragazza alla polizia per due lunghi mesi? Questa storia, secondo lo sheykh, sembra congegnata ad hoc per scatenare uno scontro confessionale, come di fatto è accaduto.
Si aggiungono poi le dichiarazioni di innocenza e di condanna da parte di illustri salafiti, ad esempio il predicatore televisivo Safwat Higazi, il quale ha addossato ai baltagheya la responsabilità delle violenze contro i copti. E’ giunta da poco, inoltre, una dichiarazione ufficiale della daawa (equivalente islamico dell’evangelizzazione) salafita che condanna aspramente i fatti di Imbaba, mettendo in guardia da interferenze straniere. Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, anche i salafiti comuni appaiono allibiti di fronte a queste violenze. Ieri sera sono stati tanti i tweet di ragazzi che riportavano i commenti di conoscenti salafiti, che affermavano di non sapere nulla né di quanto accaduto a Imbaba, né delle violenze religiose dei giorni passati.
La blogger Zeinobia, invece, dopo una rapida indagine, ha potuto appurare che tutto è nato ieri sera da un appello su Twitter, lanciato da un salafita di nazionalità saudita, che invitava a radunarsi davanti alla chiesa di Imbaba per protestare contro la pretesa prigionia di Abir. Poi, non si capisce come, la situazione è precipitata con estrema facilità, ma l’identità di chi ha scatenato la violenza non è affatto certa, secondo la blogger. Sono davvero tutti salafiti? C’è chi dice che siano principalmente baltagheya assoldati dagli ex membri del Partito Nazional Democratico, le cui fila sono tirate dagli illustri esponenti dell’ex governo ora in prigione, ma ancora in grado di comunicare con l’esterno. C’è chi dice invece che siano salafiti manovrati dall’Arabia Saudita, accusata da molti di essere la loro principale sostenitrice e finanziatrice. C’è poi ancora chi dice che si tratti di entrambi, accomunati dal comune interesse di far fallire i progetti democratici dell’Egitto. Persino il vescovo di Giza, a proposito dei fatti di Imbaba, ha puntato il dito contro gruppi di fuorilegge con interessi politici, senza escludere interferenze straniere.
Certo è che le violenze di Imbaba, seguite dalle rimostranze dei copti, stanno raggiungendo l’obiettivo di creare forte tensione nel paese. Il Consiglio dei Ministri è in riunione permanente, al-Azhar ha indetto a sua volta una riunione straordinaria su come affrontare la crisi, il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha annuciato l’arresto di 190 persone (assicurando che saranno tutte rinviate a processo), attorno alle chiese di Imbaba è stato imposto il coprifuoco permanente e, in questo momento, migliaia di copti sono scesi in strada per protestare, dirigendosi verso il palazzo della tv. Si hanno già notizie di nuovi scontri, purtroppo, ma si stanno anche organizzando diverse iniziative per riaffermare l’unità di musulmani e cristiani. La società, per ora, sta ancora assorbendo il colpo di questa nuova ondata di violenze settarie, ma non c’è dubbio che reagirà.
La domanda che molti si pongono, tuttavia, riguarda il ruolo di polizia ed esercito. Perché con i salafiti, o i baltagheya, non si interviene con la stessa durezza usata contro i manifestanti pacifici? Perché non si applica con fermezza la legge nei confronti dei responsabili di fatti del genere? E la polizia dov’è?
Sia quel che sia, indipendentemente da cosa si pensi dell’operato dell’esercito, l’estremismo islamico sta purtroppo accendendo anche quello copto, oscurando l’enorme lavoro di ricostruzione del paese che sta avvenendo ad ogni livello, al quale partecipano in egual misura cristiani e musulmani (quelli che non cedono alle violenze settarie). Ritengo sia proprio questo l’obiettivo principale delle forze responsaibili di queste violenze. Sono in molti, del resto, a far notare il tempismo degli scontri di Imbaba.
Tanto per cominciare, la battaglia è scoppiata subito dopo l’apparizione di Kamilia Shehata su un canale televisivo cristiano (di proprietà straniera), nella quale la donna ha finalmente dichiarato di non essersi mai convertita all’islam. Le parole di Kamilia avrebbero potuto mettere fine alla polemica sul suo caso. Invece, non appena conclusa la sua intervista, se ne è subito creato un altro, con esiti ancor più sanguinosi. I fatti di Imbaba, inoltre, sono accaduti giusto in tempo per far rimandare, a data da destinarsi, il giro di visite del primo ministro Sharaf in Bahrein (dove ricordiamo che l’Arabia Saudita ha inviato il proprio esercito per reprimere la rivolta popolare), in Uganda e in Etiopia (paesi coinvolti nell’accordo sullo sfruttamento delle acque del Nilo). La cancellazione di queste visite rappresenta un temporaneo arresto della politica estera del governo, che sta pazientemente tessendo nuove relazioni internazionali, ridefinendo drasticamente l’equilibrio politico (e non solo) della regione.
Ma soprattutto, i fatti di Imbaba sono accaduti poche ore dopo la chiusura di quello che probabilmente è stato l’evento più significativo, dalla caduta di Mubarak in poi, a livello di mobilitazione della società civile. Ieri, infatti, si è tenuta la prima Conferenza Nazionale egiziana per porre le basi dello stato moderno nascente, che ha riscosso un successo senza precedenti, radunando tutte le forze democratiche del paese. La battaglia di Imbaba ha completamente e convenientemente oscurato, dal punto di vista mediatico, questo evento fondamentale per il futuro dell’Egitto. Ma poiché esso merita particolare rilievo, ne parlerò diffusamente domani, dedicandogli un dossier completo e approfondito. E’ dando visibilità e sostegno alle forze costruttive che si neutralizzano quelle distruttive.
Un caro saluto a tutti,
Elisa
p.s: vi segnalo intanto alcuni articoli di oggi (in inglese), nei quali potrete trovare degli spunti di riflessione. Spero che contribuiscano a chiarire ulteriormente le difficili condizioni in cui le forze democratiche del paese si trovano a combattere.