Quasi quasi mi faccio uno shampoo
Quando Gaber si faceva lo Shampoo, non c’erano i parrucchieri cinesi, non c’erano donne musulmane con il velo, e l’ hennè chissà cos’era. In questa serie di 3 articoli dedicate allo scalpo e ai capelli, Sissy, Lubna e Fatima dimostrano che per i parrucchieri tradizionali italiani non c’è via di scampo.
La diffusione degli esercizi commerciali gestiti e/o nella titolarità di cittadini cinesi è sotto gli occhi di tutti; diciamo pure che le attività a tutti visibili sono quattro: vendita di vestiti/borse/accessori; centri massaggi, ristoranti e parrucchieri. Nessuno dei primi tre mi si addice ma il quarto mi riguarda decisamente: se si parla a qualcuno dei parrucchieri cinesi, immediatamente e nove volte su dieci ti risponde che ha paura che usino prodotti dannosi o ti guarda schifato. Ma allora perchè questi negozi sono sempre pieni di gente?Argomento spinoso. Molti hanno un rapporto controverso con il loro scalpo: gli uomini diventano particolarmente vanitosi quando conservano capelli splendidi e fluenti; li contano, li scrutano e combattono fino allo stremo delle forze contro la genetica quando iniziano a perderli; coloro che non si rassegnano optano in extremis per il riporto, frontale o laterale secondo necessità. Le donne sono – se possibile – peggiori: li lisciano con la piastra o con la chimica, li arricciano, li tirano, li raccolgono, li scuotono, li tormentano senza tregua con le dita. In proposito le telenovelas egiziane offrono un campionario completo del genere umano.
Io, invece, dopo anni burrascosi, sono in pace e tutto ciò grazie a Ray, il mio parrucchiere cinese.
Quando ero bambina, era la nonna a tagliarmi i capelli: lunghi fino a sfiorare le spalle e con la frangetta; poi la vista della nonna calò e, a quattordici anni, si rese necessario un taglio radicale, corto, alla Audrey: artefice ne fu Dora, la parrucchiera della mamma. Di nuovo lunghi per anni e poi di nuovo corti all’Università: era ora che mi scegliessi da sola il parrucchiere e scelsi Giorgio sulla circonvallazione.
La svolta tre anni orsono. Per la prima volta notai l’esistenza di parrucchieri cinesi: fu all’uscita dalla metropolitana rossa di De Angeli a Milano. Mi incuriosii e mi avvicinai: shampoo, taglio, piega e colore a 20 euro; shampoo, taglio e piega a 8 euro; piega a 6 euro; taglio maschile altrettanto.
Incredula entrai. E vi rientrai una seconda ed una terza volta. Non fu solo una questione di prezzo: scegliersi un parrucchiere non significa purtroppo scegliersi anche il taglio e l’acconciatura, come Dora e Giorgio mi avevano dimostrato, dando libero sfogo al loro estro creativo contro la mia volontà.
I cinesi di De Angeli mi provarono il contrario: io chiedevo e loro eseguivano. Mia madre e le mie sorelle mi seguirono. Così pure le amiche.
Se ho provato rimorso nei confronti di Dora e di Giorgio? In tutta sincerità non ne ho provato neanche un po’, perché i cinesi non praticano prezzi predatori, bensì prezzi reali a parità di strumenti, di prodotti e di tecnica. Quanto realmente è giusto pagare per uno shampoo, una sforbiciata, giusto la tinta e un colpo di phon? Insomma per un’ora di lavoro? Conoscete la mia risposta.
Ciò che ancora non sapete è che da due mesi abito sopra un parrucchiere cinese; vi lavorano tre ragazzi e tre ragazze, uno di loro si chiama Ray – occidentalizzano il loro nomi per evitarci l’incomodo della complessa pronuncia cinese – e ha vent’anni: svolge il suo lavoro con competenza e passione. E’ sempre lui ad occuparsi dei miei adorati capelli. Dal lunedì al venerdì, dalle 9,00 alle 21,00. Tre anni dopo i prezzi sono invariati e Ray non ha mai “dimenticato” di darmi la ricevuta di pagamento.
Fonte: www.yallaitalia.it