Salute dei migranti, “le linee guida nazionali sono rimaste lettera morta”
La denuncia dello psichiatra Giuseppe Cardamone: “In gran parte dell’Italia le strutture mediche non sono adeguatamente preparate alla ricettività dei disagi mentali e fisici dei cittadini stranieri”
FIRENZE – “Le linee di indirizzo nazionale per la salute mentale sono rimaste lettera morta, almeno per quanto riguarda la loro applicazione sui migranti”. E’ quanto ha denunciato Giuseppe Cardamone, medico psichiatra e psicoterapeuta, redattore de ‘I Fogli di Oriss’ e di ‘Am Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica’ nel corso del convegno ‘Salute mentale e convivenza’ che si è tenuto a Firenze.
Secondo Cardamone, “in gran parte dell’Italia le strutture mediche non sono adeguatamente preparate alla ricettività dei disagi mentali e fisici dei cittadini stranieri” perché “manca la sensibilità verso culture diverse dalla nostra”. Un grande ostacolo alla presa in carico dei migranti, aggiunge Cardamone, è la “scarsa conoscenza delle lingue straniere da parte del personale medico”.
Il professore precisa che “esistono realtà virtuose in alcune regioni e in alcune città, ma si tratta di casi ancora abbastanza isolati”.
Per Cardamone “ogni regione dovrebbe fare un piano per diffondere le buone pratiche nella ricettività dei migranti, ogni piano sanitario regionale dovrebbe dedicare più risorse su questo aspetto molto importante”.
Le linee di indirizzo nazionale per la salute mentale, varate dallo Stato nel 2008, stimolavano a “promuovere un ulteriore sviluppo della vocazione multi professionale nei dipartimenti di salute mentale, integrare alcune variabili significative (lingua, religione ecc.), all’interno dei sistemi di rilevazione epidiemologica dei servizi, incentivare l’attivazione e valorizzazione di centri con dimensione di tipo aziendale, sovra-aziendale e/o interaziendale rispetto ai problemi della salute mentale dei migranti”. Le linee di indirizzo prevedevano inoltre lo “sviluppo di competenze professionali e di strategie operative nell’ambito della clinica transculturale”.
Fonte: www.redattoresociale.it