MESSAGGIO DEL PAPA GMM 2008: AUTOREVOLI PRESENTAZIONI E COMMENTI
Vaticano (Migranti-press) – La settimana scorsa è stato pubblicato il Messaggio del S. Padre per la Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato 2008, che si celebra il prossimo 13 gennaio ed ha per tema “I giovani migranti”. Nel rendere pubblico il messaggio presso la sala stampa del Vaticano, le tre personalità più rappresentative del Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti è gli Itineranti, hanno svolto tre interventi che sono più di una semplice presentazione del testo pontificio, ne sono una opportuna inquadratura, anzi un commento e un’integrazione. Perciò li riportiamo qui di seguito integralmente: serviranno per una più circostanziata e ricca preparazione della Giornata. Fonte: Migranti-press 50
Alla Migrantes, da parte sua, nel leggere attentamente questi interventi sono venute spontanee alcune considerazioni collaterali, esse pure pertinenti al tema della Giornata.
1. Quanto nel Messaggio del S. Padre e dei predetti interventi si dice dei giovani migranti dei nostri giorni, sembra fotocopia, rievocazione di impressionante realismo di quanto è avvenuto per molti anni, diciamo pure per circa un trentennio, con i figli dei nostri emigrati fin dal primo dopoguerra. Cose penose per non dire drammatiche che allora leggevamo nelle cronache, nelle quali certamente più di uno di noi è stato coinvolto o almeno ne può essere testimone diretto: in particolare il fatto che questi “orfani bianchi”, rimasti per anni lontani, emigrati per un tempo che nelle intenzioni doveva essere breve, ma che si è prolungato spesso oltremisura, al ricongiungersi con i loro genitori quasi più non li riconoscevano o lasciavano con evidenza trasparire che il legame affettivo nel frattempo si era molto inaridito. Certamente questi ragazzi hanno spesso dimostrato di avere una straordinaria capacità di ricupero e di progressiva presa di coscienza dei sacrifici affrontati dai genitori con persistente amore e totale dedizione per creare proprio per loro, per i figli, un nido – casa compresa – più accogliente e un avvenire meno insicuro; di conseguenza il trauma infantile veniva, col progredire dell’età, superato o almeno abbondantemente compensato dall’arricchimento che l’esperienza migratoria, per quanto dura, di genitori e figli porta con sé.
2. Integrazione: parola sacrosanta; si fa strada un po’ alla volta la loro seconda appartenenza. Ma attenzione alla facile integrazione, tanto più a quella più o meno forzata o artificiosamente affrettata, perché in buona dose rischia di essere solo apparente e lasciare intatta quell’altra originaria appartenenza a un diverso paese di origine, appartenenza che, per quanto latente nelle profondità dell’inconscio, non manca di incidere nei meccanismi della loro personalità in formazione. E questo sia nel caso che portino dentro di sé la memoria diretta del Paese di origine dove hanno trascorso la prima infanzia, sia nel caso che questa memoria venga mediata da quella dei loro genitori lo sradicamento dalla loro terra continua ad essere piaga lacerante e mai del tutto emarginata. E’ difficile che qualcosa o molto di questo trauma interiore non traspaia in casa, nella vita quotidiana condivisa con i propri figli e renda meno serena e spontanea la piena integrazione nel nuovo ambiente. Quindi attenzione nel dire che oggi per la seconda generazione, dal momento che vive tuffata dentro a mille provocazioni e distrazioni, le radici etnico-culturali si secchino tanto rapidamente da non lasciar più succhiare la linfa delle origini e da lascia via libera al lussureggiante sviluppo dell’integrazione nel nuovo mondo. Londra e Parigi sono un chiaro avvertimento, anche se tutti ci auguriamo che qui in Italia si sia in tempo di voltar pagina.
3. Quanto alla pastorale specifica Pio XII nella “Exsul familia” stabiliva che non dovesse protrarsi oltre la prima e seconda generazione. L’Istruzione pontificia “La cura pastorale per i migranti” del 1969 dichiarava che “appare evidente e risulta confermata l’opportunità di affidare la cura dei migranti a sacerdoti della stessa lingua, e ciò per tutto il tempo richiesto da vera utilità” (n. 11). Se dunque, come si legge nella nuova Istruzione “La carità di Cristo verso i migranti”, “va considerata la classica distinzione tra prima, seconda e terza generazione, ciascuna con le sue caratteristiche e i suoi problemi specifici”, questa considerazione deve essere portata avanti secondo lo spirito, se non proprio in base alla lettera, dei due precedenti documenti pontifici.
I. Intervento del Card. Renato Raffaele Martino, Presidente del PCPMI
“I giovani migranti” (nel mondo della migrazione economica)
1. Il Santo Padre Benedetto XVI, in occasione della 94a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, ci invita a riflettere sulla problematica dei Giovani Migranti. Nella nostra epoca le migrazioni giovanili sono aumentate in maniera considerevole. I giovani sono spinti ad emigrare a causa della povertà e miseria, del degrado ambientale, di conflitti locali ed internazionali, di persecuzioni politiche e religiose, di richiesta di manodopera nei Paesi industrializzati, del ricongiungimento con i nuclei familiari, ecc. Oggi desidero soffermarmi sul problema della cosiddetta migrazione economica.
2. La migrazione giovanile è un fenomeno complesso. Rilevanti differenze emergono tra i giovani a seconda della loro provenienza, dell’estrazione sociale, dell’età in cui sono emigrati, e tra quelli nati nei Paesi d’accoglienza. Il Paese di provenienza ha una grande importanza per il bagaglio culturale e religioso che il giovane porta con sé.
3. I giovani, che hanno lasciato il Paese di origine in tenera età, hanno vissuto con più intensità la vicenda migratoria dei loro genitori, hanno continuato a parlare la lingua della loro famiglia, sono ritornati forse a visitare la loro terra d’origine e, in un certo senso, si pongono in una situazione di continuità.
4. I giovani nati nei Paesi di accoglienza, invece, pur essendo legati ai loro genitori, si allontanano più facilmente dalla realtà socio-culturale del luogo di provenienza e, pur non rinnegando la loro origine, la considerano meno rispetto ai loro progetti di inserimento locale.
5. Il ricongiungimento familiare rappresenta un altro problema per i figli che arrivano nei Paesi di immigrazione molti anni dopo i loro genitori e si trovano ad affrontare gravi ostacoli d’adattamento, che derivano da un’infanzia passata lontana dai genitori, dal distacco affettivo ed improvviso, magari, dai nonni o da chi li ha allevati, dalla perdita degli ambienti e dei luoghi in cui sono cresciuti, dallo stesso ricongiungimento con genitori quasi sconosciuti, dall’inserimento in una società inizialmente incomprensibile, dall’apprendimento di una nuova lingua, dall’alimentazione differente. Tutti questi elementi possono causare anche malattie fisiche o psichiche.
6. I giovani immigrati vivono in fondo la tensione di una duplice appartenenza. Respirano cioè l’aria delle realtà giovanili del Paese che li ospita e ricevono l’influsso scolastico e degli ambienti di socializzazione giovanile nei quali sono inseriti ed ai quali partecipano assieme ai loro coetanei. Sono così portati anche a vestire allo stesso modo degli altri giovani, ad amare la stessa musica, gli stessi sport, ad appassionarsi per i medesimi idoli giovanili, ad assumere gli stessi atteggiamenti, a condividere valori e interessi della maggioranza, ad affrontare le stesse problematiche, a subire le medesime incertezze e paure, a cullarsi delle stesse speranze e prospettive per il futuro.
7. Nello stesso tempo i giovani immigrati hanno “radici” diverse dei loro compagni locali, che vanno dalle radici culturali della loro famiglia, alla diversità delle fedi religiose. In fondo, i figli degli immigrati, al di là della possibile acquisizione della cittadinanza, concessa dal Paese di immigrazione, nel loro intimo e nella percezione della società, si considerano “figli di stranieri” e, quindi, “stranieri” essi stessi.
8. Il giovane immigrato è così soggetto ad un’altalena di identificazione, a volte con la società dove risiede ed altre in contrapposizione ad essa, sottolineando ed esasperando la propria estraneità.
9. Il giovane immigrato spesso si trova solo, a metà strada tra due culture, in una terra di nessuno. Si tratta di gioventù irrequieta ed abbandonata a se stessa anche in considerazione del fatto che i genitori sono costretti ad un lavoro duro, a volte umiliante, che comporta molti sacrifici. Tutto ciò fa vivere il giovane immigrato in una situazione di grande incertezza, che gli impedisce di pensare ad un progetto credibile per il proprio futuro e moltiplica i fattori che portano all’emarginazione che spalancano le porte alla malavita con la criminalità, la prostituzione, l’alcool, la droga, ed il ladrocinio.
10. Il disagio del giovane immigrato è, pertanto, dunque notevole. Si manifesta anche in campo scolastico perché in molti casi i giovani arrivano a scuola con qualche anno di ritardo rispetto ai loro coetanei locali. Nella scuola emergono in prima linea i problemi linguistici, che influiscono sulla più alta percentuale di bocciature tra gli studenti immigrati. La scuola, inoltre, spesso è priva di strumenti per la loro integrazione, mancando per esempio di insegnanti di sostegno all’apprendimento della lingua locale, di mediatori culturali, e di altri sussidi. Ciò provoca nel giovane sconforto e disagio, e spesso l’abbandono precoce della scuola indotto anche per l’ingresso nel mondo del lavoro. Sono così pochi i giovani immigrati che frequentano scuole di specializzazione o l’università.
11. Un altro problema per il giovane immigrato è la ricerca di un lavoro adeguato alle sue esigenze di vita, per uscire dalla disoccupazione e dalla miseria. Il sommarsi dello status di immigrato con quello di disoccupato, porta spesso i giovani ad una forte emarginazione sociale che li rinchiude in uno stato di frustrazione e di umiliazione. Anche le aziende sono spesso in difficoltà nella gestione delle risorse umane multiculturali, difficoltà sorte da pregiudizi o esperienze passate negative, e, comunque, da una scarsa conoscenza delle molteplici caratteristiche culturali di questi giovani e adolescenti.
12. Vorrei solo menzionare il disagio abitativo che affligge i giovani immigrati, ma non posso approfondirlo per mancanza di tempo, come non posso nemmeno soffermarmi sul volto femminile dell’immigrazione giovanile.
13. La crisi dei valori nei nostri giorni porta poi alla morte dello spirito anche di molti giovani immigrati. La maggioranza di loro è anche relativamente lontana dalle preoccupazioni religiose e spesso riconosce di non essere stata né sensibilizzata né educata a tale proposito. Comunque, la loro conoscenza della fede cristiana e della Chiesa resta legata a cliché presentati dai loro cari, ed a ricostruzioni intellettuali che circolano nell’immaginario sociale, e nei mass-media.
14. L’azione pastorale specifica in favore dei giovani immigrati va fatta naturalmente tenendo conto della situazione esistenziale di ciascuno. Bisogna allora fare attenzione alla lingua, cultura, religione, provenienza e storia del giovane immigrato, pur considerando che la testimonianza di fede è il fulcro di ogni azione pastorale. Il calore della schietta amicizia con chi è diverso e viene da lontano è comunque la testimonianza più bella che può predisporre all’annuncio esplicito del Vangelo. L’accoglienza di persone di diversa nazionalità, etnia e religione, contribuisce notevolmente a rendere visibile l’autentico volto della Chiesa (G.S. 39). La nostra Istruzione “Erga migrantes caritas Christi” raccomanda infatti “una grande attenzione e rispetto per le tradizioni e culture religiose dei migranti” (n. 64 e 100).
15. La pastorale deve cogliere il crescente fenomeno dell’immigrazione anche giovanile come un’occasione per rendere la Chiesa più missionaria. Se è vero che “la fede si rafforza donandola”, tanto più i nostri operatori pastorali faranno delle migrazioni un nuovo “Areopago di evangelizzazione”, ed una nuova “primavera di fede” nascerà.