Seconda ricerca su “Adozioni di bimbi Rom” a cura di Carlotta Saletti Salza
Roma (Migranti-press 46) – Il progetto di ricerca “Adozione dei minori rom e sinti” prevedeva la raccolta, la più esaustiva possibile, di dati documentati relativi all’affidamento e all’adozione di minori rom e sinti a famiglie non rom da parte dei tribunali dei minori italiani,nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005, nonché un’analisi dei dati raccolti. La scelta è stata quella di condurre una ricerca sull’affidamento e sull’adozione dei minori rom e sinti a partire dai dati relativi alle dichiarazioni di adattabilità che sono registrati presso le sedi dei Tribunali minorili e dalle informazioni raccolte nei servizi sociali di territorio, comunali e ospedalieri, in materia di allontanamento dei minori dal nucleo familiare. Quindi, sono stati raccolti i dati relativi alle dichiarazioni di adattabilità presso otto delle ventinove sedi dei Tribunali minorili e sono stati svolti colloqui con i servizi sociali di riferimento. Complessivamente, i casi di minori rom e sinti dichiarati adottabili sono oltre duecento.
I dati raccolti in ciascuna delle sedi dove si è svolto il lavoro di ricerca mostrano differenze rilevanti legate al contesto storico e sociale all’interno del quale, nel corso degli anni, si sono inserite le differenti comunità rom e sinte. Per fare un esempio, vi sono situazioni nella quali troviamo una mancanza di tradizione del lavoro dei servizi sociali (come a Lecce, dove assistiamo a una pericolosa inversione di ruoli dal momento che l’Autorità Giudiziaria minorile si sostituisce alla tutela sociale che dovrebbe invece esercitare i servizi di territorio) e contesti nei quali invece i servizi sociali vantano una sorta di specializzazione nel lavoro con le comunità rom (vedi il caso di Firenze, Torino, Venezia), con una pericolosa stigmatizzazione della cultura da parte dei differenti operatori coinvolti. Nel complesso, l’analisi dei dati mostra la facilità con la quale, nelle diverse realtà analizzate, la tutela sociale (dei servizi di territorio) e civile (dell’Autorità giudiziaria) tendono quasi a identificare un minore rom e un minore maltrattato. Come se la cultura “altra” potesse fare del male al bambino. Questo è ciò che pensano molti degli operatori incontrati. Tutti i minori rom, in quest’ottica diventerebbero dei bambini maltrattati. L’intervento di tutela operato in molti contesti diventa quindi quello di allontanare, togliere il minore dal suo contesto familiare “per educarlo”, come se la cultura rom non avesse un modello educativo o, per lo meno, un modello educativo valido. I concetti impliciti che precedono questa riflessione propria di molti operatori così come di molti magistrati minorili, vedono il bambino rom come soggetto di una situazione di “pregiudizio” ossia in una situazione negativa e sfavorevole alla sua crescita solo e proprio perché è rom o perché vive sul quel pezzo di terra dove si trova il “campo nomadi”.
Precisamente, i presupposti impliciti di molti operatori sono che: la cultura rom è da considerarsi “mancante”, sempre e comunque, con tutti i bambini; nella cultura rom vi è un’assenza delle capacità genitoriali; da parte dei genitori e/o della famiglia rom vi è un’assenza della tutela dell’infanzia. Sono proprio questi i presupposti in funzione dei quali l’intervento di tutela sociale e/o civile del minore rom diventa facilmente quello di tutelarlo allontanandolo dalla sua famiglia o dalla sua cultura. Cosa accade allora ai minori rom? La ricerca svolta evidenzia che la difficoltà di molti operatori nel riconoscere l’identità del bambino rom, il suo modello educativo, porta a gravi situazioni in cui di fatto il minore non viene tutelato. I circa duecento casi riscontrati di dichiarazione di adottabilità, infatti, denunciano un grave “pregiudizio” (così come inteso dal codice civile) nel quale si troverebbe questa volta non il minore rom, ma il contesto istituzionale che ruota intorno a quella che dovrebbe essere la tutela di qualsiasi minore. Una tutela dalla quale il minore rom, paradossalmente, resta escluso. Abbiamo situazioni nelle quali i minori trovati in strada da soli o con gli adulti di riferimento vengono allontanati dai genitori e poi inseriti in comunità. Una volta in comunità il provvedimento del Tribunale dei Minorenni dispone che i minori non possano più incontrare i propri familiari, fino al termine dell’istruttoria. Concretamente questo vuol dire che i bambini non possano più incontrare i propri genitori per lunghi mesi, con gravi prevedibili conseguenze per loro. Conclude la ricercatrice: “Con quale presunzione noi non rom continuiamo a immaginare che il nostro modello di vita sia il migliore e quello ideale? E, soprattutto, chi lavora nel sociale non dovrebbe avere una formazione adeguata per lavorare con soggetti che appartengono a culture differenti?”.
13/11/2008