Matrimoni forzati: “L’Italia non è pronta ad affrontarli”
Per Dounia Ettaib, presidente dell’associazione Donne arabe d’Italia, il fenomeno è più complesso di quanto si pensi e non riguarda solo i paesi arabi. A Bologna un convegno per discuterne
BOLOGNA – Forzati, riparatori, temporanei: il fenomeno dei matrimoni combinati è molto più complesso di quanto si pensi. In più spesso si tratta di casi che rimangono nascosti e sommersi: a tentare di far luce sull’argomento è ancora una volta l’associazione Trama di terre, riunita oggi a Bologna per il convegno “Una scelta di diritto: se mi sposo è per amore”. L’incontro segue la ricerca sui matrimoni forzati in Emilia-Romagna pubblicata nel 2011, un’indagine che raccoglieva ben 33 casi di matrimoni forzati in regione: le più colpite, secondo lo studio, sono le donne marocchine, pakistane e indiane, ma si sono registrati anche 3 casi di ragazzi costretti alle nozze.
Ancora oggi la pratica dei matrimoni combinati, a lungo sopravvissuta anche in Italia, è molto diffusa in Maghreb, nell’Africa sub-sahariana e in alcune regioni asiatiche, tra cui il Pakistan, l’India e il Bangladesh. Ma il fenomeno si fa sentire anche fra la popolazione immigrata in Italia. Secondo Dounia Ettaib, presidente dell’associazione Dari (Donne arabe d’Italia), il fenomeno coinvolge soprattutto i ragazzi della cosiddetta “seconda generazione”. “Spesso i genitori sono ancora molto legati alle tradizioni del loro paese d’origine e non permettono ai figli di ambientarsi e integrarsi seguendo le nuove abitudini”, spiega Ettaib intervenendo al convegno. “Hanno paura che la donna qui in Italia sia troppo emancipata, così organizzano matrimoni combinati per assicurarsi di mantenere alto l’onore della famiglia”.
Il fenomeno però non ha le stesse radici in tutti i paesi del mondo arabo. Ettaib cita il caso dell’Egitto, dove il matrimonio combinato è ancora molto diffuso. Secondo la presidente di Dari non sono rari i casi di uomini già sposati in Egitto che, dopo essere emigrati, decidono di sposarsi una seconda volta nel “nuovo” paese. “Spesso però si sposano in moschea ma non registrano l’unione anche con un atto civile”, spiega Ettaib. “I precetti islamici a questo proposito non riconoscono i matrimoni senza registrazione civile, quindi l’eventuale figlio della coppia è irregolare anche nel suo paese d’origine. Io li chiamo matrimoni temporanei”. Per la presidente di Dari, inoltre, il fenomeno non riguarda solo le nazioni di religione islamica, ma anche l’India e alcuni paesi del Sudamerica. Per intervenire sulla pratica del matrimonio forzato, conclude Ettaib, “non basta puntare il dito e giudicare”.
Dello stesso parere è Lorenzo Ascanio, avvocato e docente di Diritto e civiltà islamica all’Università di Macerata. “Sulla legge nei paesi islamici c’è molta confusione”, spiega, “anche perché cambia notevolmente da paese a paese. Mi sono ritrovato spesso a discutere con altri avvocati su traduzione e significato di espressioni come ripudio, divorzio unilaterale o ripudio revocabile. Il matrimonio è un contratto e le norme per regolarlo ci sono anche nei paesi islamici, anche se spesso non sono sentite o conosciute dalla popolazione stessa”. Si tratta dunque di una questione legale ma anche normativa. “Ma l’Italia”, conclude Dounia Ettaib, “non è ancora pronta ad affrontare e accogliere queste tematiche, ed è ben lontana da una mediazione culturale efficace”. Da dove partire per migliorare? Ugo Pastore, procuratore del tribunale dei minorenni dell’Emilia-Romagna, propone due fronti d’azione: “Stimolare un ambiente di dialogo con ragazze e ragazzi immigrati affinché trovino aiuto nelle istituzioni italiane in situazioni di disagio e aumentare la mediazione culturale”. (giulia maccaferri)
Fonte: www.redattoresociale.it
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