Colori, religione, solitudini: un documentario svela la comunità sikh di Sabaudia
Si intitola “Visit India” il documentario della regista Patrizia Santangeli, che verrà proiettato domenica 17 giugno all’interno del tempio sikh della cittadina laziale, lo stesso luogo nel quale sono state realizzare gran parte delle riprese
ROMA – Il racconto di un paesaggio umano che, dietro colori e riti religiosi, nasconde solitudini e spaesamento. Ordinaria quotidianità e sentimenti di chi si trova in una terra straniera, spesso senza famiglia, a volte in balia di un razzismo spicciolo o dell’atteggiamento di chi ignora l’altro solo perché è più facile così. Questo è “Visit India” documentario della regista Patrizia Santangeli sulla comunità sikh di Sabaudia, la seconda per importanza in Italia, che verrà proiettato, domenica 17 giugno alle 17, all’interno del tempio sikh della cittadina laziale, lo stesso luogo nel quale sono state realizzare gran parte delle riprese. Nella stessa occasione verrà proiettato anche il progetto fotografico sulla comunità realizzato dal reporter dell’agenzia Contrasto, Gabriele Rossi. L’evento è a cura del Circolo Larus Legambiente di Sabaudia.
Patrizia Santangeli (http://www.patriziasantangeli.it/) scrive e dirige documentari dal 2004. Nel 2008 a vinto il Satiricum doc festival con “Erano Paludi”; nel 2011 si è aggiudicata il Premio per il miglior film al Festival del cinema patologico di Roma con “Allegro moderato”.
“Visit India è un progetto nato dalla voglia di viaggiare e dalla curiosità – racconta -. Era la fine del 2008 e sulla strada che porta a Sabaudia, cittadina di mare a cento chilometri da Roma, mi capitava spesso di vedere indiani sikh che in bicicletta e turbante attraversavano la pianura. Una presenza silenziosa che finiva per trasformare un paesaggio molto familiare in uno scenario nuovo, mai visto prima, una piccola India a pochi passi da casa. Prima i sopralluoghi, poi le riprese, la conoscenza e la scoperta di una comunità che da anni vive e lavora nella zona. È iniziato così un viaggio con un percorso sempre nuovo, che cambiava strada facendo. Sono partita lasciando a casa i pregiudizi, positivi e negativi, ma soprattutto senza una meta, cercando di guardare con occhi più aperti uno spazio fatto di persone, paesaggi, strade nuove e storie semplici”.
La regista ha scelto di girare direttamente le riprese, scelta che le ha permesso di avere una relazione più spontanea, quasi “giocosa” con i Sikh. “Come tutte quelle volte che uomini, donne e bambini si sono messi in posa immobili come si fa per le foto – continua la Santangeli – , consegnandomi la loro fiducia per lunghi secondi di ripresa con la videocamera. La videocamera non mi ha protetto dalle emozioni, anzi, è diventata complice di una conoscenza più intima. Spesso mi sono ritrovata a riprendere pensando che non sarebbe successo niente, ma poi, inevitabilmente, qualcosa accadeva. Sempre. Anche perché perfino il passaggio di una bicicletta era una cosa importante”.
Il documentario evita di indugiare sul disagio per non strumentalizzare situazioni e persone: gli immigrati sono uomini e donne come noi che, in più, “meritano il rispetto tributato ai coraggiosi”. Sono loro “che per migliorare il tenore di vita della propria famiglia hanno lasciato affetti e sicurezze”; che “lavorano a testa bassa per tre euro l’ora e aspettano il giorno che li riporterà in India o che li farà sentire a casa anche qui, in Italia”.
Guarda il video: “Visit India: i Sikh di Sabaudia tra riti, colori e solitudine”.
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