Braccianti stranieri, al Sud paghe inferiori del 40% rispetto agli italiani e “sistematica violazione dei diritti umani”.
Presentato ieri uno studio della Commissione diritti umani del Senato: retribuzioni al di sotto della soglia di povertà.
Un lavoro umano con paghe adeguate, condizioni abitative e igienico sanitarie che non mettano in pericolo la salute, ma anche la dignità e libertà personale: sono questi i diritti calpestati dei lavoratori agricoli stranieri nell’Italia meridionale secondo la ricerca Immigrazione e diritti umani violati: i lavoratori immigrati nell’agricoltura del Mezzogiorno presentata ieri a Roma da Pietro Marcenaro, presidente della Commissione diritti umani del Senato; Colomba Mongiello della Commissione agricoltura e produzione agroalimentare e Enrico Pugliese, docente di Sociologia del lavoro all’Università di Roma La Sapienza.
Lo studio è stato coordinato da Pugliese per la cooperativa Dedalus con il sostegno dell’Open Society Foundations. I ricercatori hanno messo in evidenza come la retribuzione “sia pari o inferiore alla soglia di povertà, o comunque del 40% inferiore a quella di un lavoratore italiano impiegato nelle stesse mansioni. Le retribuzioni di tutti gli intervistati si collocano sotto la soglia dei 3 euro”. Lungo, inoltre, l’orario di lavoro, che supera le otto ore e spesso anche le 12 ore, in un clima di “abuso della vulnerabilità giuridica e sociale del lavoratore”.
La ricerca documenta anche i molteplici accordi tra imprese agricole e caporali e la collocazione degli immigrati nel mercato del lavoro e dei suoi meccanismi di regolazione. Per i ricercatori, non si parla quindi di tratta in senso stretto ma di “gravissime condizioni caratterizzate da sistematica violazioni dei diritti”.
Fonte: www.immigrazioneoggi.it