di Elisa Ferrero
Cari amici e amiche,
l’Egitto sta ancora aspettando l’annuncio dei risultati delle elezioni presidenziali, inizialmente previsto per giovedì. La Commissione Elettorale l’ha rimandato a data da definirsi, ma alcune fonti non ufficiali prevedono che i risultati saranno resi noti durante il week end, sabato o domenica. Nel frattempo, il paese vive in un clima sospeso, carico di elettricità, e in mezzo a questa tensione si fronteggiano due titani: i Fratelli Musulmani e il Consiglio Militare. Simbolicamente (ma non poi tanto), lo scontro è rappresentato da piazza Tahrir da un lato e, dall’altro, dai carri armati sparsi per le città; oppure, alternativamente, è impersonato dalla sfida a distanza dei due candidati alla Presidenza, Mohammed Morsy e Ahmed Shafiq, entrambi sicuri di aver vinto alle elezioni.
Il sit-in in piazza Tahrir continua con successo, la milioniya indetta per oggi, principalmente per protestare contro la dichiarazione costituzionale complementare, ha attirato centinaia di migliaia di persone, a gran maggioranza Fratelli Musulmani e salafiti. La piazza è di nuovo strapiena e ben organizzata. Il Consiglio Militare ha risposto con uno dei suoi soliti comunicati, letto tuttavia da un anonimo e non da uno dei generali. Nel comunicato, i militari hanno velatamente minacciato la dura repressione di qualsiasi deriva violenta delle manifestazioni (c’è chi pensa che non aspettino altro, in realtà), pur riaffermando il diritto di manifestare per tutti i cittadini egiziani. Hanno inoltre invitato a rispettare le decisioni dei magistrati, proclamandosi neutrali rispetto a qualsiasi forza politica, e hanno bacchettato i Fratelli Musulmani per aver annunciato il vincitore delle elezioni prima del tempo, azione considerata illegale.
Due ore dopo il comunicato del Consiglio Militare si è tenuta una conferenza stampa di Mohammed Morsy, accompagnato da illustri personalità della rivoluzione, come Wael Ghonim (amministratore della pagina Facebook “Siamo tutti Khaled Said”) e Ahmed Maher (fondatore del Movimento 6 Aprile), e da vari esponenti di altre forze politiche. La conferenza stampa ha fatto seguito a un incontro mirato a costruire un’alleanza in grado di contrastare le manovre controrivoluzionarie dei militari e realizzare gli obiettivi della rivolta del 25 gennaio. Morsy, dopo aver adeguatamente ricordato i martiri della rivoluzione, ha innanzitutto ribadito la volontà di costruire uno stato civile, democratico, costituzionale e moderno. Su questo punto hanno insistito anche gli speaker che sono seguiti. Poi, sempre Morsy, ha proseguito dicendo di aspettarsi che la Commissione Elettorale annuncerà un risultato in linea con la volontà popolare. Ha quindi ribadito il rifiuto della dichiarazione costituzionale complementare, dello scioglimento del Parlamento (pur accettando la sentenza della Corte Costituzionale sull’incostituzionalità di alcuni articoli della legge elettorale) e del Consiglio di Difesa Nazionale.
Infine, Morsy è giunto al punto più discusso negli ultimi giorni, affermando l’intenzione di formare un governo di coalizione, nel quale la maggioranza dei ministri non apparterrà a Libertà e Giustizia, il partito della Fratellanza (avevano già fatto una promessa simile a proposito della Costituente, però). Inoltre, il vice Presidente potrebbe essere un cristiano, un giovane della rivoluzione o persino una donna (tuttavia non ho potuto fare a meno di notare che non c’era nessuna donna alla conferenza stampa). Morsy ha quindi ribattuto alle illazioni girate nei giorni scorsi sulla possibilità che i Fratelli Musulmani ricorrano alla violenza in caso di sconfitta alle elezioni, assicurando che le loro proteste rimarranno pacifiche e che, laddove possibile, si limiteranno a fare ricorso alle vie legali. Dunque, ha tenuto a sottolineare Morsy, non esiste nessun conflitto con la magistratura, né con l’esercito.
In conclusione, tutte le forze politiche rappresentate alla conferenza stampa hanno espresso una forte preoccupazione per il ritardo dell’annuncio dei risultati elettorali, accompagnata dal timore che ciò possa significare la volontà di alterarli. Molti, infatti, ormai ritengono che la Commissione Elettorale sia in possesso dei conteggi finali dei voti già da tempo, ma che li tenga segreti in attesa di decidere cosa farne (o che il Consiglio Militare decida cosa farne), in barba a ogni richiamo alla volontà popolare. La sensazione che quest’attesa, in realtà, nasconda una fase di fitte contrattazioni su chi debba essere il prossimo Presidente, tra le forze che hanno in mano le redini del paese, è molto forte.
Nonostante la conferenza stampa di Morsy possa far pensare che i rivoluzionari abbiano finalmente raggiunto l’unità attorno alla sua figura, in cambio di precise garanzie di democraticità, bisogna notare che erano assenti tre personaggi fondamentali: Mohammed el-Baradei, Hamdeen Sabbahi e Abdel Moneim Abul Fotouh. In attesa di capire il significato di quest’assenza, il tentativo di Morsy e dei suoi nuovi alleati di presentarsi come l’embrione di un nuovo Fronte Nazionale Rivoluzionario (così vorrebbero chiamarsi), in grado di rappresentare anche le donne, i copti e i giovani, pare ancora minoritario, tuttavia non si può mai dire. Per ora, però, i liberali e i secolari tutti d’un pezzo proprio non riescono a fidarsi dei Fratelli Musulmani e quindi se ne stanno ben alla larga da piazza Tahrir, osservando con ansia lo svolgersi degli eventi.
Il temporale potrebbe scoppiare già domani, se la Commissione Elettorale renderà finalmente noti i risultati elettorali. Secondo indiscrezioni del giornale al-Ahram, che cita fonti governative, il vincitore sarebbe Shafiq, per poche centinaia di migliaia di voti. E’ possibile che si tratti dell’ennesima notizia falsa per testare l’umore dell’opinione pubblica, ma vi lascio immaginare cosa succederebbe se fosse davvero così. Non importa chi vincerà, comunque, perché in ogni caso ne vedremo ancora delle belle.
Un saluto affettuoso,
Elisa
Mohammed Morsy, il nuovo Presidente (news n. 344)

Cari amici e amiche,
dopo lunghe traversie, l’Egitto ha finalmente un nuovo Presidente. E’ Mohammed Morsy, candidato dei Fratelli Musulmani, un ingegnere nato nel Delta che ha studiato e insegnato alla University of South California (si dice abbia anche lavorato per la NASA, a un certo punto della sua carriera), poi è ritornato in patria dove è diventato docente di scienze dei materiali all’Università di Zagazig. E’ il primo Presidente egiziano (più o meno) democraticamente eletto, il primo che non proviene dall’ambiente militare ed anche il primo Presidente islamista democraticamente eletto del mondo arabo. Nonostante le grandi incognite che questa elezione si porta dietro, non v’è dubbio che segni l’inizio di una nuova epoca, sia per l’Egitto sia per la regione araba.
L’annuncio della vittoria di Morsy, ieri, ha stemperato un clima di tensione che aveva ormai raggiunto livelli insopportabili. Due piazze stracolme si confrontavano minacciose: piazza Tahrir, riempita di sostenitori di Morsy, e Nasr City, dove si erano radunati i sostenitori di Shafiq. Ovunque erano dislocati i militari e le forze di sicurezza. All’ora prevista dell’annuncio le strade erano deserte. Molta gente era sinceramente convinta che la guerra civile potesse scoppiare da un momento all’altro, specie se avesse vinto Shafiq, contro ogni aspettativa basata sul conteggio ufficioso dei voti eseguito da più fonti. Sarebbe stata la chiara indicazione di una eclatante frode elettorale.

Invece, la Commissione Elettorale ha confermato tutti i risultati ufficiosi: Morsy ha vinto con il 52%, mentre Shafiq ha ottenuto il 48%. Alla notizia, attesa in piazza Tahrir da una folla immensa immersa in preghiera, è scoppiata la festa in tutto il paese, eccetto ovviamente tra i sostenitori di Shafiq. In realtà, in questo momento ci sono, suppergiù, un terzo dell’Egitto che festeggia, un terzo che si mantiene neutrale, diffidente o cautamente ottimista, e un altro terzo che è decisamente furioso, spaventato e preoccupato. Nulla di male in questo, è sempre così nei paesi dove si tengono regolari elezioni democratiche. Ciò che conta è la reazione dei perdenti e, per ora, non ci sono stati problemi. Persino Shafiq ha riconosciuto la vittoria di Morsy, al quale ha anche telefonato per congratularsi (e per offrire il suo aiuto e la sua esperienza!).
La vittoria di Morsy, pertanto, presenta diversi punti positivi. Il primo, l’ho già menzionato, è che i militari non hanno voluto (o potuto) truccare il risultato delle elezioni in favore di Shafiq, come molti si aspettavano (o speravano, addirittura). Una frode elettorale palese e sistematica non è più possibile in Egitto, dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011. Ciò dimostra che la pressione popolare c’è, funziona e chiunque governerà l’Egitto, d’ora in poi, dovrà tenerne conto. La gente ha imparato a non tacere, a non essere indifferente, a interessarsi alla politica, e

questo mi sembra un risultato non da poco, soprattutto ora, perché Morsy avrà senz’altro bisogno di un forte contrappeso affinché la sua politica non si sbilanci troppo in direzione “islamizzante” (e la maggioranza del paese non è islamista). L’elezione di Morsy, inoltre, rappresenta un’ulteriore rottura con il passato, dimostrando che i nostalgici del vecchio regime sono una minoranza, mentre la stragrande maggioranza degli egiziani vuole davvero il cambiamento, anche se c’è discordia sulle sue modalità, come del resto è giusto che sia. Pur non essendo Morsy il vero candidato della rivoluzione, non è nemmeno il candidato dell’establishment militare e questa piccola “infiltrazione” potrebbe costituire la prima crepa nell’edificio dello stato militar-poliziesco egiziano, purché però non ne nasca invece una pericolosa simbiosi. Infine, simbolicamente, era fondamentale (anche per gli altri paesi arabi in rivolta) che Shafiq non vincesse, perché sarebbe stato come annullare un anno di lotta, sogni e aspirazioni. La rivoluzione non si sarebbe certo fermata, ma il colpo assestatole sarebbe stato più duro di quello di una vittoria islamista. Questo, almeno, è ciò che si spera.

Tuttavia, l’elezione di Morsy a Presidente presenta anche numerosi lati oscuri. Innanzitutto ci si chiede se la sua vittoria sia stata realmente determinata dalla volontà popolare. Prima dell’annuncio dei risultati sono circolate voci insistenti su presunte contrattazioni tra il Consiglio Militare e i Fratelli Musulmani. Un giornale saudita, e anche il quotidiano al-Ahram, hanno persino fornito alcuni dettagli su queste trattative dietro le quinte. I militari avrebbero concesso la vittoria a Morsy (cosa che permetterebbe di dimostrare la loro democraticità agli occhi del mondo e del proprio paese) in cambio del mantenimento di tutti i loro privilegi e dei ministeri più cruciali: difesa, interni e giustizia. Inoltre, durante le trattative si sarebbe discusso anche del futuro della famiglia Mubarak. Insomma, un patto che darebbe la Presidenza ai Fratelli Musulmani (forse anche il Parlamento?) con poteri limitatissimi, lasciando le redini del paese saldamente in mano all’esercito, esattamente come stipula la nuova dichiarazione costituzionale. E a questo punto torno a preoccuparmi della possibilità che i militari, tutt’altro che vero baluardo contro gli islamisti, siano disposti a chiudere un occhio sull’islamizzazione del paese e su una (ulteriore) restrizione delle libertà individuali, in cambio del mantenimento del controllo su economia, sicurezza interna e politica estera. In ogni caso, sono sempre loro, per adesso, i veri padroni dell’Egitto, assistiti da polizia e

intelligence. Ma qualcosa sta cambiando. Anche questa presunta trattativa segreta non sarebbe mai potuta avvenire senza il voto e la pressione popolare. I militari hanno dovuto comunque scendere a patti, e questa è una novità.
Soltanto i prossimi giorni e mesi, però, ci diranno che tipo di relazione s’instaurerà tra militari e islamisti. Nel frattempo, Morsy ha tenuto il suo primo discorso alla nazione dalle telecamere della tv di stato. A proposito, quest’ultima – dicono – ha già iniziato a virare di 180 gradi per predisporsi ad adulare il nuovo Presidente. Buffo, perché solo fino a poco tempo fa non faceva nemmeno il nome della Fratellanza Musulmana, chiamandola invece “l’organizzazione proibita”. Comunque sia, il discorso di Morsy (poco carismatico e, a detta di molti, anche abbastanza noioso) è stato conciliatore. Prima ha lungamente ricordato i martiri, quindi ha ringraziato esercito, polizia, intelligence e giudici. Poi si è rivolto a tutti gli egiziani, menzionando una per una tutte le province. Ha esplicitamente citato anche la Nubia, il Sinai e le oasi, regioni neglette dal regime precedente. Infine è passato ha citare diverse professioni, incluso i guidatori di tuk tuk (gli ape-taxi caratteristici delle periferie delle città o dei paesi). Morsy si è dichiarato Presidente di tutti loro, a “uguale distanza” da ogni categoria. Ha affermato di non avere diritti, ma solo doveri (chissà se stava pensando ai poteri limitati che gli ha concesso il Consiglio Militare?), dopodiché ha fatto appello all’unità di tutti gli egiziani. Ha esplicitamente menzionato l’importanza di preservare i diritti umani, delle donne, della famiglia e dei bambini, senza discriminazioni. Più volte ha citato cristiani e musulmani insieme. Ha ribadito il rispetto di tutti i trattati internazionali, rifiutando tuttavia ogni interferenza straniera. Non c’è dubbio che questo discorso sia stato molto diverso da quelli di Mubarak, se non altro nello stile.

Morsy ha già dato le dimissioni dall’Ufficio della Guida e dalla presidenza del partito Libertà e Giustizia per sottolineare la sua indipendenza, come deve fare chi si dichiara Presidente di tutti gli egiziani. Ora restano i grandi interrogativi, tutti riassumibili nell’unica domanda: Morsy manterrà le sue promesse? Tanto per cominciare, formerà davvero un governo di unità nazionale non dominato dai Fratelli Musulmani? Farà riprocessare Mubarak e i responsabili della morte di centinaia di manifestanti? Ma soprattutto: rispetterà sul serio il carattere secolare dello stato? Sarà il Morsy che garantisce i diritti e le libertà di tutti oppure quello che promette più sharia che pane, a seconda del pubblico che si trova davanti?
Il recente passato, con le tante vane promesse della Fratellanza, è contro di lui purtroppo, ma bisogna restare ottimisti, perché comunque sia c’è un paese laico forte che resiste. Io ritengo che, per poter procedere sulla strada di un reale cambiamento, piaccia o non piaccia, sia inevitabile e necessario passare per la fase islamista. Reprimerla porterebbe soltanto alla sua recrudescenza e al suo rafforzamento, mentre affrontarla, ponendola di fronte alle sfide del governo e della realtà, potrà portare a una evoluzione degli islamisti in senso moderato e infine, forse, potrà anche essere superata. La pustola deve scoppiare per guarire. Nessuno può prevedere cosa succederà, ma io credo che l’Egitto sia il paese arabo che ha gli strumenti migliori per affrontare l’avanzata islamista, sia dal punto di vista culturale e politico, sia dal punto di vista del forte senso di unità che lo caratterizza, il quale potrà aiutarlo a superare il pericolo di profonde divisioni. La speranza è che l’Egitto s’incammini su una strada di riforme che eviterà lo scontro violento tra democratici e antidemocratici, pur non evitando il conflitto civile, anche molto duro, tra queste due anime del paese (che poi esistono in tutto il mondo). Come ho ripetuto molte volte, il fattore essenziale sarà la pressione popolare.
Un caro saluto,
Elisa
p.s: Nelle foto, alcuni momenti della giornata di ieri.