Terrorismo islamico, nelle carceri italiane alto il rischio di proselitismo
In uno studio dell’Istituto superiore di studi penitenziari, emerge l’identikit della persona più a rischio: “Detenuto comune, spesso isolato, asociale o dissociato”
ROMA – “Negli istituti italiani il rischio di un proselitismo finalizzato alla lotta armata è concreto”. Lo scrive Aureliana Calandro, vicecommissario di polizia penitenziaria, nel volume “La radicalizzazione del terrorismo islamico. Elementi per uno studio del fenomeno di proselitismo in carcere” curato da Francesco Cascini (magistrato, direttore dell’Ufficio per l’attività ispettiva e di controllo del Dap) e dai vice commissari che hanno partecipato al 2° corso di formazione dell’Istituto superiore di studi penitenziari. Gli esiti dello studio sono riassunti anche nel nuovo numero della rivista del Dap “Due città”.
Il volume, che riunisce più voci, rende conto di un fenomeno difficilmente verificabile e quantificabile, ma certamente presente negli istituti di pena. Un caso emblematico è quello di Domenico Quaranta, convertito all’Islam nel penitenziario di Trapani, riarrestato nel 2002 e riconosciuto imam dai detenuti accusati di terrorismo internazionale nel carcere dell’Ucciardone. “Il meccanismo di affiliazione – spiega il vicecommissario Giuseppe Simone – fa presa sui soggetti più a rischio come i detenuti arabi più adescabili per l’inesperienza o per il disorientamento psicologico legato all’ingresso in carcere”. E aggiunge: “L’attività di proselitismo affascina il detenuto comune, spesso isolato, asociale o dissociato”.
E proprio il carcere è un luogo privilegiato per il proselitismo, come riferisce il vicecommissario Nadia Giordano: “L’elemento psicologico ed emozionale di cui l’individuo è vittima entrando nel sistema carcerario è divenuto col tempo un fertile terreno per i reclutatori delle organizzazioni estremistiche islamiche, che nell’ambito del sistema carcerario hanno saputo col tempo costruire una poderosa rete di controllo e manipolazione”. Per il vicecommissario Giovanni La Sala non è da sottovalutare il fatto che “l’incidenza di fenomeni di proselitismo sia dovuta, molto spesso, non a ragioni strettamente spirituali, quanto a un tentativo di rivincita o di risposta in termini di contrapposizione al sistema ospitante, sentito come fortemente discriminatorio”.
Ecco perché la prevenzione della radicalizzazione religiosa passa innanzitutto “attraverso l’eliminazione dei contrasti di origine etnica e culturale, oltre che dall’incremento delle forme e degli strumenti di integrazione e mediazione” aggiunge La Sala. In questo senso fondamentale è l’attività di formazione, come sottolineato da Massimo De Pascalis, direttore dell’Ispp. Non a caso nel 2009 l’Ufficio per l’Attività ispettiva e del controllo del Dap ha predisposto insieme alla Direzione generale del personale e della formazione specifici moduli di formazione sul terrorismo internazionale.
La ricerca, pubblicata sui Quaderni Issp (n. 9) è scaricabile dal sito http://issp.bibliotechedap.it/quaderni.aspx. (gig)
Guarda la situazione sui detenuti in carcere e su immigrazione e criminalità nella Guida all’informazione sociale.
Fonte: www.redattoresociale.it