Gli uguali litigano con i diversi o con i loro fantasmi?
Fonte: www.conflictmediation.it
In tutte le comunità il rapporto con i diversi è sempre stato difficile e, nella storia, la voglia “di toglierseli di torno” ha trovato soluzioni le più svariate e radicali.
I manicomi nel passato e le espulsioni di immigrati nel presente, sono solo due fra i tanti esempi di una coabitazione conflittuale con l’altro risolta con l’esclusione e l’isolamento…..
In tutte le comunità il rapporto con i diversi è sempre stato difficile e, nella storia, la voglia “di toglierseli di torno” ha trovato soluzioni le più svariate e radicali.
I manicomi nel passato e le espulsioni di immigrati nel presente, sono solo due fra i tanti esempi di una coabitazione conflittuale con l’altro risolta con l’esclusione e l’isolamento.
Va detto, però, che come non tutti gli eguali sono eguali allo stesso modo, così anche i diversi possono essere più o meno diversi ed essere trattati perciò in modo differenziato.
I diversi non abili sono oggetto di una tolleranza passiva che sconfina spesso nell’indifferenza: son vissuti con fastidio o imbarazzo o inquietudine, ma raramente la loro vicinanza alimenta litigi e scontri di una qualche importanza. È la loro stessa disabilità non particolarmente pericolosa e minacciosa a proteggerli da manifestazioni di esplosione aspra e cruenta.
Ben diverso invece, quanto acceda per i diversi abili (delinquenti, tossicodipendenti, prostitute, zingari, immigrati, clandestini, etc..): qui l’intolleranza si sposa con una forte volontà punitiva e con la paura, creando una miscela di ostilità davvero impenetrabile se non addirittura esplosiva.
L’abilità non spesa per l’inclusione, diventa una colpa da punire e l’efficienza, consumata lungo percorsi irregolari, alternativi e sconosciuti diventa una minaccia.
La voglia di liberarsi di questo scomodo fardello si fa allora irrefrenabile, rafforzata dal fatto che il suo peso e il suo fastidio crescono col tempo e diventano tali da togliere al fardello stesso, qualsiasi connotazione umana. Avviene sempre così: quando le difficoltà di coabitazione con l’altro toccano la corda di emozioni quali la paura, l’apprensione, l’insicurezza, il terrore e il sospetto, allora si avvia un processo di de-personalizzazione.
Quell’individuo e tutti quelli simili a lui diventa una non-persona nei cui confronti è inevitabile e quasi obbligatorio mettere in atto azioni di espulsione e di allontanamento definitivo dai propri percorsi di vita.
La presenza di stranieri che toglie il sonno oggi a molti italiani, non è quella di chi lavora nelle loro case o aziende, o di chi attende all’uscita da scuola i figli, ma è quella creata al di fuori dagli incontri diretti, attraverso i racconti di altri, le immagini dei media, gli sguardi lanciati dai finestrini di un’auto o di un autobus che attraversa i territori degradati della città.
È una rappresentazione, un fantasma appunto.
In quasi tutti i sondaggi sulla sicurezza nel nostro paese, gli intervistati segnalano, in percentuale molto alta (fra il 70-80%) la presenza di un grave conflitto fra autoctoni e immigrati quale fonte principale di inquietudini e insicurezze. Però solo in percentuali molto basse, non superiori al 20%, segnalano di aver avuto esperienza diretta di uno scontro con uno straniero. E dunque, è questo 20% da solo – con le sue narrazioni – ad alimentare gli incubi e le paure di tutti gli altri.
Che fare? Visto che a creare il conflitto è un eccesso di rappresentazioni negative del diverso, qualcuno pensa si debba intervenire per sostituirle con rappresentazioni positive. Ma non funziona!
Il mondo dei produttori di immagini (i media e non solo) è difficile e complesso e soprattutto non modificabile dall’esterno nei suoi processi e nelle sue regole di funzionamento basilari.
Ciò che invece si può (e si deve) fare è sostituire, tutte le volte che si può, al virtuale il reale,incrementando le occasioni di incontro diretto e concreto fra eguali e diversi. Solo condividendo i problemi della quotidianità si superano le differenze e ci si scopre interessanti agli stessi obiettivi e mossi da interessi simili. Non sono le feste, le fiere, le manifestazioni/evento contro il razzismo a poter avvicinare eguali e diversi (anzi non se ne può più di questi inutili riti) ma è la semplice convivenza attiva sugli stessi territori a far spostare l’attenzione da ciò che divide a ciò che unisce.
Ciò è sempre capitato quando ai diversi si son aperte le porte di uno spazio di tutti (vedi la scuola o lo sport).
Ma sembra passato un secolo da allora!
La Cooperativa CO.ME. (Conflict Mediation)