La moschea “inclusiva” sulla Senna
Il 30 novembre è stata inaugurata a Parigi (nel sobborgo di Sèvres) una moschea dichiaratamente aperta anche agli omosessuali, su iniziativa di Ludovic Mohamed Zahed, 35enne francese di origine algerina. Zahed è stato studente di antropologia e psicologia, ha fondato due ong che si occupano di omosessualità e lotta all’Aids ed è autore del libro Le Coran et la chair (Il Corano e la carne) nel quale ripercorre il suo cammino spirituale come musulmano gay.
In Italia la notizia è stata ignorata dalla stampa che conta e rilanciata da qualche sito, ma con toni sensazionalistici (“la moschea per soli gay”). Per capire realmente di cosa stiamo parlando è a nostro avviso più utile affidarsi alle parole dello stesso Zahed, riportate dal Guardian e da noi sintetizzate. «Molta gente crede che Islam e omosessualità siano termini inconciliabili (come d’altra parte cattolicesimo e omosessualità, ndr). Questi diversi aspetti dell’identità invece sono compatibili. Oggi in Francia, gli adolescenti gay hanno quasi 15 volte più probabilità di uccidersi a causa del diffuso rifiuto sociale sul loro orientamento sessuale. Questo mi brucia come una ferita e perciò nel 2010 ho deciso di creare un’associazione a sostegno dei gay musulmani di Francia e, quindi, di progettare una moschea inclusiva a Parigi, la prima del suo genere. L’idea mi è venuta dopo un lungo viaggio personale. Da adolescente, la mia rappresentazione dell’Islam era radicale. (Zahed era vicino ai salafiti, precisa in un’intervista al quotidiano turco Hurriyet, ma se ne è allontanato dopo aver visto che compivano atti terroristici, ndr). Da piccolo ho imparato metà del Corano a memoria. Sono rimasto incantato dalla bellezza dei testi, ricchi di universalismo. A 17 anni sono venuto a patti con il fatto che ero gay. Adesso, dopo 15 anni di riflessione, ho realizzato che il Corano non fa esplicito riferimento all’omosessualità, né alle donne come inferiori. In effetti l’interpretazione restrittiva e dogmatica di alcuni versetti del Corano non è più unanime, soprattutto agli occhi dei musulmani progressisti di tutto il mondo (anche se restiamo, per il momento, una minoranza). Per questo voglio aprire un luogo di culto in cui le persone saranno sempre accolte come fratelli e sorelle, qualunque sia il loro orientamento sessuale o la loro etnia. Il mio progetto è sostenuto da uomini, donne, trans e anche padri che non vogliono lasciare in eredità un Islam intollerante. Il mio piano non prevede di celebrare i matrimoni gay. I musulmani considerano il matrimonio come un contratto sociale fra due individui consenzienti, da stabilire di fronte ad almeno due testimoni, e celebrato davanti alla loro comunità. Le preghiere dell’imam funzionano solo per chiamare i partecipanti a benedire la felicità e a sigillare un contratto fra due zawjan, una parola araba che significa “coniuge”. Questo progetto dà speranza a tanti credenti della mia comunità. La preghiera comune, praticata in ambiente egualitario e senza alcuna forma di discriminazione basata sul genere, è uno dei pilastri a sostegno delle proposte di riforma della nostra rappresentazione progressiva dell’Islam. In Nord America, i progressisti musulmani sono spesso assistiti da congregazioni cristiane o da associazioni private, che consentono di utilizzare una parte dei loro locali per la preghiera del venerdì. A Parigi per il momento possiamo beneficiare del supporto di un bellissimo tempio buddista zen nella parte orientale della città, ma siamo alla ricerca di una soluzione più praticabile nel lungo periodo: un luogo più centrale per accogliere il maggior numero possibile di fedeli. Guardare il femminismo e l’omosessualità all’interno dell’Islam significa che possiamo capire meglio la nostra relazione con l’autorità religiosa, mettere in discussione il dogma istituzionale e, per estensione, meditare sulla libertà di definire la nostra identità, senza concessioni, compromessi o sottomissioni».
A Jolanda Guardi, co-autrice con Anna Vanzan di Che genere di Islam, libro già recensito sulle pagine di Corriere Immigrazione, abbiamo chiesto un parere sull’iniziativa di Zahed. «L’apertura della moschea a Parigi è importante. Negli ultimi anni, già in diverse situazioni (Cina e Pakistan) si sono aperte moschee solo per donne, con una donna imam: non a caso è accaduto in Paesi dove le donne sono particolarmente penalizzate. Ma è anche un segnale più generale di mutamento. Perciò giudico molto positivamente quel che succede a Parigi: non è un luogo di segregazione, ma di riconoscimento. Finora si diceva che “se scegli” di essere gay (o sei “malato di omosessualità” secondo altri) allora sei fuori dall’Islam. Oggi questo schema vacilla. La scorsa settimana è stato annunciato a Madrid l’apertura di un centro per gay e lesbiche musulmane. Tutto questo influisce sui Paesi d’origine dei migranti. Alla fine qualcosa cambierà».
Uno dei principali ostacoli, in questo senso, sembra essere il silenzio, la rimozione del tema.
«Io tengo d’occhio la stampa araba e ho notato che la questione LGTBQ (acronimo che sta per lesbiche, gay, transessuali, bisessuali, queer) è presente sempre più spesso. Si danno le notizie anche se con commenti negativi. Ad esempio, sull’iniziativa a Parigi di Ludovic Mohamed Zahed un quotidiano apriva così il suo articolo: “Siamo davvero arrivati alla fine dei tempi”. Insomma, se ne parla, ma prendendo in qualche modo le distanze. Autocensura dei giornalisti? Chissà. Comunque un passo avanti rispetto al silenzio. Il dibattito è aperto, l’esito da vedere».
Alla Casa internazionale delle donne di Roma, dove veniva presentato il vostro libro, era presente Salameh Ashour, esponente della Comunità islamica in Italia, che è intervenuto. Il suo discorso non ha convinto tutte le persone presenti (molte della comunità gay) ma la sua presenza è comunque positiva e rivelatrice. Tanto più che, in estrema sintesi, ha detto: «siamo tutti figli di Dio e ognuno nel suo privato faccia quello che vuole».
«Non mi pare poco, anche perché non stavamo chiacchierando al bar ma in un luogo pubblico».
Daniele Barbieri
fonte: www.corriereimmigrazione.it
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