Giornata mondiale del rifugiato: oltre l’emergenza, la conoscenza
Presentazione del video reportage “Lampedusa approdo sicuro”. Foto: Miriam Rossi
di Miriam Rossi
Il 20 giugno si è celebrata la Giornata mondiale del rifugiato. Ribadire i numeri del fenomeno è imprescindibile per comprenderne le dimensioni. Secondo lo studio di Global Trends, nel 2012 il numero dei rifugiati e dei profughi ha raggiunto i livelli più alti degli ultimi 18 anni, passando dai 42,5 milioni di persone alla fine del 2011 ai 45,1 milioni. Di queste, 15,4 milioni sono i rifugiati (a cui si aggiungono 937mila richiedenti asilo) e 28,8 milioni gli sfollati, una distinzione doverosa nel momento in cui solo ai primi è riconosciuta una particolare condizione di protezione. Attualmente più della metà degli aventi lo status di rifugiato al mondo proviene da appena 5 paesi colpiti da conflitti: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria e Sudan; importanti nuovi flussi si registrano anche in uscita da Mali e Repubblica Democratica del Congo.
Delle iniziative, dei comunicati e delle conferenze sul tema, di cui è stato costellato tutto il territorio nazionale in occasione della Giornata, sono rimaste sicuramente le molte parole spese per informare e sensibilizzare. Come quelle di Mons. Giancarlo Perego, Direttore Generale di Migrantes, che ha evidenziato la coincidenza dell’evento “con giorni drammatici che hanno coinvolto molte persone in fuga: mille persone arrivate sulle coste siciliane in pochi giorni, la morte di migranti aggrappati a una rete per la pesca del tonno, che allungano la schiera dei 20.000 morti nel Mediterraneo, il ritorno dell’emergenza a Lampedusa”. Ad analoghe denunce si sono aggiunti gli appelli per promuovere la campagna “1 family” dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati: “star” più o meno brillanti del panorama cinematografico e artistico mondiale hanno prestato la propria immagine registrando videomessaggi in cui hanno ricordato al pubblico che le vittime delle guerre sono madri, padri, figli e figlie: famiglie insomma.
Nessuno sceglie di diventare un rifugiato: questa è la realtà a cui generalmente non si pensa. I rifugiati sono persone che scappano dalla loro terra perché costretti, principalmente da situazioni di guerra. Di conseguenza, a meno di non pensare a un mondo ideale piegato alla logica del benessere collettivo e della pace, la condizione di “rifugiato” esisterà fintantoché esisteranno le guerre. Corollario ideale di tale affermazione semplice, ma nient’affatto banale, risulta che è sbagliato parlare di emergenza guardando alla questione dei rifugiati.
Ne sanno qualcosa i membri del Comitato “Non laviamocene le mani” che nell’intento di far fronte non all’emergenza, ma all’indifferenza verso i rifugiati, stanno tentando di proporre sul territorio trentino un inedito parallelo tra il soccorso alpino, un dovere indiscusso, e quello in mare, per porre l’attenzione sui troppi naufragi che, in silenzio, hanno trasformato in cimitero la frontiera meridionale d’Europa, il Mediterraneo. Della stessa provenienza è anche l’iniziativa formativa che ha portato un gruppo di ragazzi dell’Istituto tecnico “G. Marconi” di Rovereto, in Trentino, a conoscere da vicino Lampedusa, la sua realtà e quella di chi fugge. Qualcosa di più di un viaggio di istruzione, “per scoprire il percorso di una persona che scappa dalla fame, dalla sete, dalle guerre del proprio Paese”, come afferma uno degli studenti. Il video reportage “Lampedusa approdo sicuro” di Paola Rosà e Antonio Senter, nato dal progetto, fa emergere un quadro ben differente da quello riportato dai media nelle drammatiche settimane della primavera del 2011, quando la discutibile scelta del governo di bloccare i trasferimenti dei migranti sbarcati a Lampedusa creò una situazione esplosiva per la sopravvivenza dell’isola, dipendente per gli approvvigionamenti dalla terraferma. La testimonianza video parla di un aiuto dovuto non solo per disposizioni internazionali cogenti, ma anche per sentimenti di umana fratellanza. Non si tratta quindi di far fronte a periodiche emergenze stagionali ma di costruire un nuovo modello di accoglienza e di percezione dell’altro a livello nazionale, se non territoriale, specie per chi non ha altra scelta se non la fuga.
Desta allora curiosità il maldestro tentativo del Ministero dell’Interno di rendere i rifugiati “simpatici”. Alla stregua di un reality show, il Viminale conclude lo spazio sulla propria homepage dedicato alla Giornata Mondiale del Rifugiato con un breve paragrafo dedicato ad “alcuni rifugiati celebri che hanno svolto un ruolo eccezionale per talento, esperienza o ricerca e sono diventati un elemento importante della società che li ha accolti fino a entrare nella storia del Paese”. Si cita Albert Einstein (ebreo che decise nel 1933 di allontanarsi dalla Germania alla presa del potere del Partito Nazionalsocialista, ancora agli albori dell’ideazione e della messa in atto della “soluzione finale”); e poi, con un improbabile salto che non tiene conto né di processi storici, né di disposizioni giuridiche, “lo sono stati in un certo periodo della loro vita Victor Hugo, Giuseppe Garibaldi, Enrico Fermi o il Dalai Lama”. Come se l’accoglienza di oggi fosse una cinica lotteria sulla fama di domani.
Fonte: www.unimondo.org