Settimana sociale. “A pagare il costo della migrazione sono le famiglie”
Modelli di inclusione, costo delle migrazioni, leggi familiari e di cittadinanza. Questi i punti sollevati da Laura Zanfrini docente dell’Università del Sacro cuore durante nel corso della Settimana sociale dei cattolici italiani
TORINO – Qual è il costo sociale delle migrazioni per le famiglie migranti? Il sistema di welfare italiano ed europeo è adatto a provvedere alle loro esigenze fondamentali? L’attuale legge di cittadinanza e le politiche del lavoro saranno sufficienti a realizzare una piena inclusione dei nuovi italiani? Questi e molti altri i nodi cruciali sollevati da Laura Zanfrini – docente ordinario di Sociologia delle migrazioni e delle disuguaglianze all’Università Cattolica di Milano – intervenuta alla 47esima settimana sociale dei cattolici italiani. Una riflessione caustica e volutamente provocatoria, che rimette in discussione l’intero modello di inclusione italiano, evidenziandone criticità e ipocrisie. “Oggi” spiega Zanfrini “abbiamo un’intera generazione di figli che crescono separati dai genitori. Questi ultimi, poi, quando riescono a ricongiungersi incontrano enormi difficoltà nell’esercitare il loro ruolo, trovandosi per giunta in una cultura profondamente diversa da quella di appartenenza”
La famiglia come “speranza e futuro della società italiana” è il tema di questa 47esima edizione della settimana sociale; e per Laura Zanfrini a pagare il costo più alto nei processi migratori sono proprio i nuclei familiari, sparpagliati tra paesi e continenti per inseguire lavoro e stabilità “Quasi mai – prosegue – si migra per motivi individuali; ci si sacrifica per il bene della famiglia, dei figli. Eppure, in Italia come in Europa, le politiche migratorie sono tarate sui bisogni dell’individuo, non dei nuclei familiari: si vedano, a tal proposito, le leggi sulla cittadinanza e sul ricongiungimento”.
Proprio qui arriva la più significativa provocazione sollevata dalla docente: “Nei paesi d’origine – precisa – il migrante è dipinto come un eroe familiare, un martire che sacrifica tutto per il bene dei propri cari. Ma è giunto il momento di comprendere che il benessere delle famiglia, per quanto prezioso, non può andare a scapito di quello dell’individuo. La retorica del sacrificio in realtà è molto comoda, e lo è per tutti. Lo è per le istituzioni dei paesi di origine, che traggono enorme vantaggio da un’intera economia creata sui cosiddetti flussi di rimessa, il denaro che i migranti inviano a casa. Lo è per intere culture familiari, che in questo modo continuano a sacrificare la dignità dell’individuo a un’ideale retorico di famiglia, arrivando a sacrificare perfino le proprie figlia, vendendole ai mercanti di sesso. E lo è anche per noi: perché finora abbiamo percepito gli immigrati come una risorsa economica, per far ricoprir loro mansioni che per noi sono ormai scomode”.
Secondo Zanfrini, è lo stesso paradigma in base al quale abbiamo accolto i migranti ad essere obsoleto. “Se ci pensiamo onestamente, chi è per noi il migrante ideale? La badante, la colf, il collaboratore domestico: uomini e donne che non creano problemi, lavorano spesso in nero e si preoccupano soltanto di mandare i soldi a casa. Il principio di condizionalità, che subordina l’accoglienza e la concessione dei diritti all’utilità economica del migrante, oggi è in voga anche nei welfare più evoluti d’Europa. Ma è superato dai fatti e dai tempi; perché, mentre attraversiamo una crisi occupazionale profonda, i migranti sono già qui, i loro figli stanno crescendo e la società non si preoccupa della loro inclusione. Di fatto, l’Italia è oggi il paese in cui in assoluto meno immigrati chiedono il riconoscimento legale del loro titolo di studio”.
Ed è nelle ambizioni, nella progettualità e nelle scelte di vita che i giovani, le seconde generazioni, vengono colpiti. “La socializzazione al lavoro” prosegue la docente “è un altro ambito estremamente critico: i genitori che hanno sperimentato il volto meno nobile del capitalismo flessibile, accettando mansioni dequalificanti, difficilmente potranno trasmettere ai loro figli un’etica del lavoro e della vita”.Questo si riflette profondamente sulle scelte di vita dei nuovi italiani, i quali “intraprendono percorsi formativi funzionali non alle loro aspirazioni, ma alle congiunture economiche e all’eventualità di un ulteriore migrazione, spesso verso gli Stati uniti”.
“Ma è tempo – conclude Zanfrini – anche di rendersi conto che il modello di integrazione in atto danneggia noi come loro, perché li rende concorrenti sleali. Di fatto, le statistiche ci dicono che nei settori lavorativi dove si concentrano i migranti i salari sono diminuiti, insieme alle tutele e ai diritti. È tempo di decidere se vogliamo riconoscer loro maggiori diritti e inclusione o se vogliamo continuare lungo un processo involutivo che ormai è già avviato” (ams)
Fonte: www.redattoresociale.it
Una risposta
[…] da Redazione il 11 September 2013 in Pastorale, Segnaliamo Settimana sociale. “A pagare il costo della migrazione sono le famiglie” Print This Post Invia ad un […]