Coppie miste, nuove famiglie tra sogni e pregiudizi
fonte: palermo.repubblica.it
Il numero dei matrimoni fra stranieri e palermitani come dimostrano i dati in possesso del Comune è certamente in crescita: nel 2007 sono stati 148, mentre fra il 2008 e il 2009 sono già arrivati a oltre 230. Ma a sentire i protagonisti sono ancora tanti gli ostacoli da superare sia a livello sociale che dal punto di vista dell´iter burocratico.
Ecco le loro storie di Janani e Giuseppe Marfella
È la prima donna della comunità tamil a sfidare la tradizione e la cultura del Paese di origine pur di sposare un ragazzo occidentale. Janani Thavarajasingam lavora come interprete e mediatrice culturale, e quando quattro anni fa ha conosciuto Giuseppe Marfella sul traghetto che da Messina porta a Villa San Giovanni, è stato un colpo di fulmine.
Si sposeranno a giugno con un doppio rito perché lei è di religione induista e lui è cattolico. E hanno già trovato una casa in viale Strasburgo. «La donna nella comunità tamil – dice Thavarajasingam – è ancora una figura sottomessa all´uomo. Io sono qui da venticinque anni, guido la macchina e ho aperto anche un pub in città. Cose impensabili per molte ragazze tamil della mia età. Da noi esistono ancora i matrimoni combinati, mentre io ho scelto di condividere la mia vita con Giuseppe. Palermo nella sostanza non mi sembra una città multiculturale. Anche se passeggiamo in via Principe di Belmonte mi sento osservata». Giuseppe Marfella che lavora alla capitaneria di porto di Messina e viaggia ogni fine settimana per raggiungere Janani si è adeguato ad alcune regole della comunità tamil: niente abbracci, baci ed effusioni in pubblico. «La sua cultura mi affascina molto – dice Marfella – mi piace ascoltare i suoi racconti. Le ho promesso che un giorno andremo insieme nello Sri Lanka. I nostri figli avranno un grande bagaglio culturale. E mi auguro che cresceranno in una società lontana da pregiudizi razziali».
Il numero dei matrimoni fra stranieri e palermitani come dimostrano i dati in possesso del Comune è certamente in crescita: nel 2007 sono stati 148, mentre fra il 2008 e il 2009 sono già arrivati a oltre 230. Ma a sentire le storie dei protagonisti sono ancora tanti gli ostacoli da superare sia a livello sociale che dal punto di vista dell´iter burocratico.
Quando Graziella Biundo ha scelto di costruire una famiglia con quel ragazzo straniero conosciuto dietro al bancone di un pub, non immaginava di dovere fare i conti con lo scetticismo della gente. E ora che c´è anche la piccola Zaira qualcuno azzarda: «Ma anche lui l´ha riconosciuta? E se un giorno te la porta via? Per fortuna che la bambina è bianca!». Graziella Biundo ha ventinove anni, lavora come commessa anche se ha conseguito una laurea in lingue e convive da quattro anni con Birba Moussa, trentunenne originario della Costa D´Avorio, arrivato Palermo nel 2000. Lui ha cambiato tanti lavori e adesso si è formato come mediatore culturale. Vivono in una casetta a Partanna di Trapani, ma lavorano a Palermo, dove non sono riusciti ancora trovare un appartamento in affitto perché si imbattono in annunci come “affittasi tranne a stranieri”, oppure “affittasi solo a stranieri”. La famiglia di Moussa non ha mai visto Zaira. Per andare in Costa D´Avorio, infatti, ci vogliono troppi soldi. «Se non riesco a trovare un lavoro – dice il ragazzo – andremo via da qui. Questa città sembra così multiculturale, e apparentemente lo è, ma in fondo la società non è pronta ad accogliere le coppie miste. C´è una preoccupazione diffusa. E ci sono molte difficoltà anche dal punto di vista burocratico».
Ne sa qualcosa anche Cesare Di Maria che ha conosciuto la donna diventata sua moglie nel 2000, più di sedici anni fa: «Se adesso – dice Di Maria – sposare una donna straniera è una cosa abbastanza condivisa, quando ho scelto di farlo io non lo era affatto. Ricordo ancora che in seguito a un tamponamento uno scese dalla macchina e insultò Marie dicendole di tornarsene al suo Paese. E anche i miei genitori mi hanno fatto dei problemi all´inizio». La famiglia, invece, fra una perplessità e l´altra è cresciuta: Cesare e Marie Christine Lavaz hanno tre figli e lei è molto amata dalle clienti dell´atelier di abiti da sposa che la famiglia Di Maria ha in via Bandiera. Lui condivide così profondamente il mondo di Marie da coltivare il sogno di trasferirsi per sempre nelle isole Mauritius. Marie, invece, che ha sofferto molto la povertà e ha affrontato mille sacrifici per arrivare in Italia non vuole saperne: «La cosa a cui tengo di più – dice – è che i miei figli abbiamo la possibilità di studiare. Io non ho potuto farlo.
Questa è la città in cui si sono avverati i miei sogni e non voglio tornare indietro». I loro figli vanno pazzi per il curry e anche il più piccolo di cinque anni mangia già cibi speziati e piccanti. Non hanno imparato il creolo, lingua della madre, perché secondo Marie non è molto utile nell´uso comune, ma sono molto curiosi degli usi e costumi mauritiani.
Yohanka Bridon Lescay e Onofrio Di Marco già conviventi da tre anni, al momento sono ospiti da alcuni parenti, ma adesso che la famiglia ha un nuovo arrivato si trasferiranno in nuova casa al centro, anche se lei ama moltissimo Mondello perché le ricorda Cuba. «Suscitiamo ancora molta curiosità nella gente – dice Yohanka Bridon Lescay – Se passeggio con il mio compagno e con Isidoro in braccio, capita che mi fermano e mi chiedono qualcosa. Per fortuna le nostre famiglie hanno accolto molto bene la nostra relazione, ma adesso a preoccuparmi è il futuro di mio figlio. Non voglio che lui possa sentirsi diverso dagli altri solo perché è figlio di una coppia mista». Yohanka ha sempre lavorato come badante, baby-sitter o barman. E da quando è nato Isidoro fa la mamma a tempo pieno. «Ci sono tante comunità straniere a Palermo – dice Onofrio Di Marco che di mestiere fa il vetraio – Ma alla fine ognuno vive e si confronta con quelli della stessa cultura. Non c´è uno scambio reale». Un giorno pensano di sposarsi. Hanno dato al primo figlio il nome del padre di lui. Ma il prossimo avrà un nome cubano: «Spero – dice Yohanka – di crescere i miei bambini con l´educazione del mio Paese, secondo me è più severa. Qui i genitori sono troppo permissivi. E voglio parlare a mio figlio in spagnolo, così imparerà un´altra lingua. Voglio che conosca Cuba e che ami il riso e i fagioli».
Per Rahman Anisur del Bangladesh, scegliere una donna italiana ha significato anche avvicinarsi a una cultura molto più libera e sfaccettata della sua. «Non possiamo bere – dice – o andare a ballare. Anche per motivi religiosi dal momento che siamo musulmani. I miei connazionali ancora mi criticano, e dicono che dovrei fare convertire Giovanna all´Islam. Io invece sono felicissimo pensando che i miei figli cresceranno con una cultura occidentale». Vivono a Misilmeri perché non possono permettersi una casa in città e Rahman ha investito tutto in un phone center che inaugurerà nelle prossime settimane. Intanto i genitori di Giovanna Romano che da un po´ di tempo non lavora per crescere tre figli, non vogliono avere rapporti molto stretti con Rahman: non hanno ancora accettato il fatto che la figlia sia andata a vivere con lui. La differenza di lingua e religione per loro non è un problema. «Ho sofferto molto – dice Giovanna – Soprattutto quando i compagni prendono in giro i miei figli a scuola. Gli chiedono a quale semaforo lavora il padre. Secondo me in questa società esiste ancora il razzismo, solo che a volte è celato dall´ipocrisia. Per me, invece, conoscere Rahman è stato un colpo di fulmine, mi ha conquistato la sua mentalità e la sua voglia di vivere. Non ho pensato ai problemi che avrei dovuto affrontare anche nella mia famiglia».
Moji Dourandish e Antonino Giglia, sposati da otto anni, hanno battezzato entrambi i figli, ma forse un giorno uno di loro potrebbe convertirsi e diventare musulmano come la mamma di origine iraniana. Il capodanno in famiglia si festeggia due volte, perché in Iran cade il 21 marzo. «Ci siamo sposati tre volte – dice Moji Dourandish che lavora al pronto soccorso del Policlinico e si è trasferita a Palermo tredici anni fa per motivi di studio – quello civile, poi in chiesa e anche in vaticano con il doppio rito. Mio marito si definisce più musulmano di me per certe cose. Tengo molto alle mie tradizioni e la mia famiglia “mista” le coltiverà insieme a quelle di questa città. Certo ci sono alcune difficoltà come quando ho iscritto mio figlio in una scuola cattolica e le suore hanno storto un po´ il naso perché sono musulmana». Per il resto Antonino Giglia, avvocato, con il tempo ha imparato a gustarsi i racconti della moglie che per lui hanno proprio il sapore delle “Mille e una notte”. «La mia vita è molto frenetica – dice – e all´inizio facevo fatica a rallentare i miei tempi seguendo Moji che aveva sempre voglia di raccontarmi qualcosa, di assaporare tutti i momenti delle nostre giornate. A pensarci era già tutto nel mio destino, mi sono laureato in legge con una tesi in diritto musulmano e mi ha sempre affascinato questo mondo».
(26 aprile 2009)