Porta Palazzo, UNA MISSIONE
Fonte: Il Bollettino Salesiano – Maggio
di Graziella Curti
Cento cinquant’anni fa, don Bosco si aggirava tra le bancarelle del mercato di Torino/ Porta Palazzo a cercare i suoi ragazzi, quelli che venivano dalle borgate, i più poveri.
Oggi , qui, c’è ancora il mercato, ma è cambiato il panorama umano: c’è gente di tutte le razze, che cerca di integrarsi in un Paese a volte insofferente verso i nuovi venuti. Ma c’è pure chi accoglie, aiuta, accompagna.
Incontriamo Paola, Julieta, Yasmina, Figlie di Maria Ausiliatrice, provenienti da tre continenti: Africa, Europa, America Latina e poste qui come espressione dell’amore preveniente per i più poveri. A loro rivolgiamo alcune domande sul senso del loro vivere qui, in un piccolo appartamento, con vista sulla piazza del mercato più grande d’Europa.
Come è iniziata la vostra presenza?
Il gazebo al mercato di Porta PalazzoSiamo “comunità” dal 2006. Anno in cui, dopo alcuni mesi di formazione condivisi a Roma, dove abbiamo frequentato un corso di aggiornamento per missionari, presso l’Università Pontificia Salesiana, siamo finalmente approdate a Torino. L’idea della piccola comunità interculturale, collocata in un luogo strategico, attenta alle nuove povertà delle nostre periferie, come può essere la mobilità umana presente nelle nostre città, ci rimanda al Capitolo generale XXI, celebrato nel 2002, occasione in cui il nostro Istituto si è fermato a riflettere e a discernere sull’ipotesi e sulle possibilità di concretizzare “UNA CASA COMUNE” per la famiglia umana. Di qui una serie di conseguenze e di realizzazioni, fra cui la comunità interculturale di Porta Palazzo a Torino, nata nella memoria dei 125 anni di presenza missionaria delle FMA nel mondo (1877), proprio in ricordo delle prime nostre missionarie partite per l’America Latina, a servizio degli immigrati italiani.. Il “perché” di tutti questi passi sta forse nel desiderio di costruire progetti che, nei limiti del possibile, possano veramente rispondere ai bisogni reali delle persone…e come conoscere i bisogni senza prima “starci dentro”? Per arrivare infine al “progetto” che ancora stiamo sviluppando.
Di che progetto si tratta?
“Aperta-mente Cittadine” questo è il nome del Progetto, frutto del primo anno “di strada”, con l’impressione di non fare niente. Dopo un tempo di riflessione/discernimento sul vissuto, una prima scelta di campo: la donna. In seguito, attraverso un questionario di sondaggio sulla possibilità di avere luoghi/tempi di incontro e di laboratorio in cui ritrovarsi, ecco che cosa stiamo realizzando, insieme ad un gruppo di volontarie: una presenza in piazza con un gazebo, durante il mercato del sabato; quattro laboratori rivolti a giovani/donne italiane e straniere (alfabetizzazione, taglio e cucito, ricamo e attività manuali varie di maglia e uncinetto (periodicamente anche laboratorio artistico) con la finalità di “stare” in mezzo alla gente, come sportello d’ascolto informale e presenza alternativa d’opinione (gazebo del sabato) e di offrire alle donne dei luoghi di incontro, riconoscimento e protagonismo sereno, spazi di integrazione per l’interazione, in vista di una giusta e dignitosa cittadinanza.
Qual è la vostra relazione con la gente?
La vita quotidiana assunta nella semplicità ci ha regalato da subito “affetto e confidenza” che, come diceva don Bosco, portano alla familiarità. Gli aneddoti di condominio sono tanti e commoventi: da Alessandra, la figlia dei nostri vicini rumeni del piano di sopra, che ci chiedono di accompagnare il primo giorno di scuola, impossibilitati per lavoro fino alla proposta accolta della preghiera condominiale del Rosario, nei sabati di maggio, insieme alla “Festa del Vicino”, che il 30 maggio scorso, ha radunato una ventina di condomini nell’atrio a ballare, suonare cantare e condividere la bellezza della diversità: nord e sud, Uruguay, Colombia e Mozambico, Marocco, Romania, Costa d’Avorio, Nigeria, Giappone e Cina e una minoranza di torinesi d.o.c….questi sono gli ingredienti della nostra casa, del palazzo di Piazza della Repubblica in cui stiamo cercando di costruire “una casa per tutti”.
Qualche fatto significativo…
Indubbiamente gli incontri, gli “eventi” cittadini a cui abbiamo partecipato come Comunità interculturale a servizio del Progetto “Aperta-mente Cittadine”, quindi con il volto giuridico di Associazione “2PR Prevenzione Promozione” sono stati “fatto significativo”. A partire dalla partecipazione alla “Turin Maraton” dell’aprile scorso: forse il primo grande evento cittadino in cui la nostra presenza sul territorio ha acquistato una visibilità particolare, ma lo stesso gazebo settimanale, fra le bancarelle del mercato di Porta Palazzo ci sembra segno significativo in mezzo alla gente, per la possibilità che ci regala di confrontarci con azioni, reazioni, silenzi e grida, domande espresse e inespresse, volti, abiti, sguardi a volte assai più eloquenti di tante parole. Altro elemento significativo è il cammino di pastorale parrocchiale, non facile, nella nostra Chiesa di San Gioacchino, nel cuore del quartiere,: collocata fra la Moschea della Pace, la comunità Cinese di via La Salle, i “randagi” tossicodipendenti di Borgo Dora gli alcolisti rumeni… e il “piccolo resto” di italiani, che mal sopportano i nuovi arrivati. Si è tentato anche un inizio di cammino interfedi, vista la complessità della zona, mettendo attorno ad un tavolo di confronto alcuni rappresentanti del Comitato Interfedi, nato a Torino in occasione delle Olimpiadi Invernali del 2006.
Che tipo di rete avete costruito?
Lavoriamo con tutti quelli che hanno voglia di lavorare con noi, che cercano, come noi, strade alternative alla repressione e alla sicurezza per costruire possibilità ed equilibri d’interazione, mediazione, rispetto, giustizia…con tutti quelli che sanno riconoscere l’uomo, prima del migrante e dell’extracomunitario, e sanno accoglierlo come tale.
Quali desideri per domani?…
Sicuramente quello di poterci avvicinare sempre più efficacemente alla domanda reale della gente e di trovare i percorsi più adeguati per arrivare. Un altro desiderio, soprattutto “oggi” a contatto quotidiano con alcune realtà culturali come quella marocchina, è quello di poter costruire insieme a queste donne, oltre che luoghi di aggregazione e di acquisizione di competenze (laboratori vari) cammini di formazione per l’emancipazione: troppe di loro vivono in condizioni di sudditanza e di “violenza culturale” insostenibile… Per questo, forse, la comunità di Porta Palazzo dovrebbe essere arricchita di qualche presenza in più: America Latina, Africa, Italia sono ingredienti importanti, ma la realtà dell’Est, dell’Oriente, la cultura araba richiedono mediazioni particolari: chissà che un giorno, in un piccolo alloggio del quartiere, si possano ritrovare le… quattro o le cinque FMA di Porta Palazzo!?