“Se il tuo vicino ti odia, sposta la porta della tua casa.”
By Baghdadhope*
Foto by Ankawa.com
Le foto mostrano quelle sembrano essere migliaia di persone in fila che agitano un foglio giallo e sono state pubblicate dai maggiori siti di informazione sulla comunità irachena cristiana. Chi sono quelle persone? Sono cristiani, (ma forse anche qualche yazida, curdo, sunnita, sciita o turcomanno) che ad Erbil hanno passato ore sotto il sole con un solo scopo: ottenere il passaporto, viatico per la fuga verso l’estero.
Cosa è successo sabato 30 agosto nella città irachena che più di ogni altra ha accolto i profughi sfuggiti alla violenza delle truppe dello Stato Islamico?
E’ successo che l’Ufficio Passaporti di Erbil ha stabilito che il sabato di ogni settimana si possa presentare domanda per l’ottenimento del passaporto da parte di coloro che, a partire dal 10 di giugno, hanno dovuto abbandonare le proprie case nel governatorato di Ninive per trovare rifugio nel Kurdistan iracheno di cui Erbil è capitale.
Ed è successo che a presentare tale domanda si siano presentati a migliaia tanto che non è stato possibile accoglierle tutte e che i nomi di chi otterrà l’agognato documento saranno comunicati via media.
La domanda doveva essere accompagnata da una lettera del Dipartimento per l’Immigrazione e gli Sfollati, un documento attestante lo stato civile, un certificato di nazionalità, un assegno pari a 25.000 Dinari iracheni, (21.50 $) 3 foto formato tessera con sfondo bianco ed un certificato di residenza. Documenti indispensabili per ottenere l’agognato passaporto biometrico della serie A che, in sostanza, è valido in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti.
Ma torniamo alla notizia dell’assembramento dei richiedenti passaporti ad Erbil. Come si è detto non ci sono stime precise sui numeri anche se le foto parlano da sole, ma ad essi si devono aggiungere quelli riguardanti coloro che non hanno potuto presentare la domanda.
Questi e gli altri sono solo una parte però dei più di 100.000 che secondo le stime della Chiesa locale sono profughi in patria, e per quanto da sempre la Chiesa irachena abbia cercato di trattenere i suoi fedeli a salvaguardia delle radici della cristianità mesopotamica, tanto da far dichiarare al Patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako, che aiutare i cristiani in questa emergenza, lasciandoli in Iraq, è più importante che farli fuggire all’estero, gli accorati appelli a resistere non sembrano aver sortito effetto di fronte all’avanzata dell’Islam estremista che altro non è che, ricordiamolo, l’ultimo anello di una catena di cieca violenza che si è abbattuta sulla comunità dai primi attacchi alle chiese di Baghdad e Mosul il 1 agosto del 2004 e che a fasi alterne ha imposto loro la fuga.
Se in tutti questi anni gli iracheni cristiani rimasti in patria sembrano aver seguito il proverbio arabo che recita: “Non arrenderti. Rischieresti di farlo un’ora prima del miracolo” le immagini da Erbil ci dicono un’altra verità e di proverbi arabi ne richiamano un altro: “Se il tuo vicino ti odia, sposta la porta della tua casa.”