Licei off limits per gli immigrati: le diseguaglianze della scuola italiana
Secondo un’indagine condotta dall’Università del Piemonte Orientale, solo il 30% dei giovani immigrati verrebbe indirizzato verso il liceo, contro l’80% degli italiani. Le ragioni? I ricercatori: “La prima è la barriera linguistica. Ma è un falso problema, che nasconde un pregiudizio”
TORINO – Fanno i lavori che noi non vogliamo fare più: raccolgono pomodori, accudiscono gli anziani, consegnano la pubblicità buca a buca. Ma a quanto pare il discorso vale anche per il sistema scolastico: perché, mentre i ragazzi italiani sembrano disdegnare sempre più gli istituti tecnici o professionali, per gli stranieri iscriversi in una di queste scuole pare quasi una scelta obbligata. Stando ai dati raccolti dal progetto Second-gen – realizzato dall’Università del Piemonte orientale in collaborazione col Gruppo Abele e il Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione (Fieri) – oggi soltanto il 18 per cento degli studenti immigrati sceglie il liceo dopo le medie, contro un 45 per cento di studenti italiani.
Per i primi, però, parlare di “scelta” rischia di suonare come un garbato eufemismo: perché gran parte di loro avrebbe ben altre ambizioni per il proprio futuro, come rivelano le decine di interviste condotte dai ricercatori del progetto. E non sono i genitori a spingerli verso percorsi educativi più brevi e professionalizzanti, ma la scuola stessa; il cui servizio di orientamento agisce da vera e propria “diga” tra italiani e stranieri, indirizzando l’80 per cento dei primi verso il liceo, contro il 30 per cento dei secondi. “Molti di questi ragazzi – spiega Enrico Allasino, ricercatore Fieri – hanno ben chiaro che, in tempi di crisi, scegliere un istituto professionale non garantisce un posto di lavoro; e i loro stessi genitori ambirebbero a delle carriere ben più ‘nobili’ per i propri figli. Ma, nella maggior parte dei casi, queste aspirazioni si scontrano contro l’orientamento scolastico”.
All’origine di questa disparità, secondo Allasino, ci sarebbe “una presunta barriera linguistica, che, con la crescita delle seconde generazioni, nate e cresciute in Italia, si rivela sempre più come un falso problema”. Stando agli ultimi dati ministeriali, in effetti, l’anno scorso nelle scuole italiane si è registrato l’atteso “sorpasso” delle seconde generazioni sugli allievi nati all’estero e arrivati in seguito in Italia: per la prima volta, nel 2014, i primi ammontavano al 52 per cento dei figli di migranti presenti nel nostro sistema scolastico.
Per Allasino, dunque, il problema della lingua nasconderebbe “un pregiudizio duro a morire, da parte docenti e del sistema scolastico in generale”.
La storia di Rabeeha. Tra le decine di storie raccolte dai ricercatori, risulta in tal senso emblematica quella di Rabeeha, adolescente nata e cresciuta a Torino da una famiglia del ceto medio pakistano: prima di partire per l’Italia, dove sono diventati un muratore e una casalinga, il padre e la madre erano un ingegnere e un medico. La ragazza vorrebbe iscriversi allo scientifico, per poi seguire le orme materne; ma, nonostante i brillanti risultati ottenuti, il consiglio di classe delibera l’orientamento verso un istituto tecnico. “Il problema – precisa Allasino – è che le famiglie straniere hanno una capacità di negoziare con la scuola che è di molto inferiore rispetto a quelle italiane. Le quali, ad esempio, riescono spesso a far accettare i loro figli dei licei a fronte di risultati piuttosto scarsi”.
Quando problemi linguistici esistono, poi, è il sistema scolastico stesso a rivelarsi carente: secondo il rapporto redatto da Second-gen “l’insegnamento dell’Italiano ai giovani stranieri non è ancora strutturato uniformemente secondo un piano comune a tutte le scuole: capitare in un istituto o in un altro può fare la differenza”. “Gli interventi più diffusi – continuano i ricercatori – tendono a focalizzarsi sul raggiungimento di una competenza comunicativa minima, magari efficace per rispondere in modo apparentemente appropriato all’insegnante ma non sufficiente per comprendere adeguatamente le lezioni o i testi”.
Secondo Allasino, “è inevitabile che una dinamica del genere abbia delle ricadute sulla stratificazione sociale dell’Italia futura”. E a conferma delle sue parole, in effetti, c’è un’altra tendenza riscontrata nel corso dell’indagine: l’inserimento dei migranti all’interno di classi con una forte presenza di giovani considerati svantaggiati dal punto di vista socioeconomico. “Il problema – conclude Allasino – non è tanto nel fatto che vengano inseriti in queste classi; il problema è che, dati alla mano, sono proprio le scuole organizzate in questo modo a produrre i risultati peggiori, tra gli italiani quanto tra gli stranieri”.