Le vere vittime dell’immigrazione
Atene – -Bambini che muoiono nei naufragi dei barconi o che vengono strappati alle loro famiglie e abbandonati in un campo profughi. Bambini malati senza la possibilità d’essere curati. Le vittime dell’emergenza immigrazione, uno dei peggiori drammi del secondo dopoguerra in Europa, sono soprattutto loro.
Tra le mille storie di questi piccoli c’è anche quella di Rami, un bambino siriano malato di cancro che rischia di morire se i suoi fratelli non riusciranno a raggiungerlo al più presto in Germania, dove è ricoverato, per donargli il loro midollo osseo. Undici anni, capelli ricci e occhi scuri, Rami soffre di una forma aggressiva di linfoma di Hodgkin. I suoi due fratelli e la sorella sono gli unici compatibili per il trapianto, ma al momento sono bloccati con la madre nell’inferno del campo profughi di Idomeni, al confine tra la Grecia e la ex Repubblica jugoslava di Macedonia. A rendere nota la storia di Rami è stato il quotidiano britannico «The Independent» che ha lanciato un appello insieme a diverse organizzazioni non governative.
Rami è malato da cinque anni, proprio quando è iniziata la guerra in Siria. E mentre lui era ricoverato in ospedale a Damasco, la famiglia è stata costretta a lasciare la loro casa, nel quartiere di Tamadon, e a cominciare il cammino vissuto da migliaia e migliaia di profughi siriani in questi anni. Per nove mesi hanno vagato tra la Siria e il Libano. Un lungo periodo durante il quale il piccolo non ha potuto sottoporsi alla chemioterapia. Quando poi sono riusciti ad arrivare in Turchia, Rami è stato ricoverato in ospedale. Dopo tre mesi un medico, a sue spese, è riuscito a farlo portare nell’ospedale di Monaco insieme con il padre. Ma la madre e i suoi fratelli, gli unici che possono donargli il midollo che gli salverebbe la vita, sono rimasti bloccati nel pantano di Idomeni. Pochi giorni fa la madre ha fatto richiesta di asilo in Germania. L’avvocato del Consiglio greco per i rifugiati è ottimista: la domanda potrebbe essere completata in pochi giorni.
La storia di Rami dimostra, ancora una volta, la gravità dell’emergenza immigrazione in Europa. Dopo l’alzata di scudi di Croazia, Serbia, Albania, Ungheria e Austria per bloccare la rotta dei Balcani, nessuno può più passare il confine. E paradossalmente ora l’accordo Ue-Turchia rischia addirittura di complicare la situazione, rallentando le procedure burocratiche. A confermarlo è un’analisi dell’European Policy Centre (Epc), uno dei principali think tank attivi a Bruxelles, che monitora l’attività della Commissione e dei diversi organi dell’Unione.
L’analisi è stata resa pubblica ieri, e si concentra in particolare sul meccanismo, cuore dell’accordo tra Bruxelles e Ankara, dell’“uno a uno”, la misura per cui l’Ue è pronta ad accogliere un rifugiato siriano regolarmente registrato nei campi profughi turchi in cambio di ciascun migrante irregolarmente giunto in Europa di cui il Governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan si farà carico.
Ora, dicono i ricercatori dell’Epc, se questo sistema dovesse entrare in funzione, ebbene ciò «aumenterà la spinta dei contrabbandieri a cercare percorsi alternativi per l’Europa». C’è una «forte probabilità» che «il ritorno dei migranti irregolari verso la Turchia e l’attuazione dello schema “uno a uno” motiverà i migranti e trafficanti ad utilizzare altre vie possibili» scrive il think tank. Esistono infatti almeno tre esempi di rotte possibili alternative a quelle attuali: la rotta verso la Bulgaria attraverso il mar Nero, quelle Libia-Italia e Albania-Italia, e quella Marocco-Spagna. Nella migliore delle ipotesi, dunque, l’accordo rischia di «ritorcersi contro gli europei, che si troverebbero a dover pagare il funzionamento di uno schema di per sé insufficiente». Bulgaria, Italia e Spagna hanno già espresso chiaramente le proprie preoccupazioni.
Inoltre, l’Epc punta il dito contro la volontarietà del sistema, che «costituisce uno dei motivi di preoccupazione». In effetti, anche se gli Stati Ue dovessero partecipare al meccanismo su base volontaria — come previsto dagli accordi con Ankara — «non è affatto chiaro quanti siriani i singoli Paesi saranno disposti ad accogliere»; il rischio è che «il contributo di alcuni membri dell’Ue sia puramente simbolico». Senza contare che le 72.000 persone poste come tetto massimo allo schema di riammissione in Turchia rappresentano una quota insufficiente. E questo anche se la Commissione Ue ha assicurato che, quando ci si avvicinerà al numero limite, il programma verrà esteso.
La triste conferma della diagnosi dell’Epc è giunta proprio ieri. Le autorità austriache hanno comunicato che esiste «il potenziale pericolo» dell’arrivo in Europa centrale, e specialmente in Bulgaria, di oltre un milione di migranti e rifugiati. Il blocco della rotta dei Balcani impone questa deviazione. «Si osserva un’intensificazione dell’attività dei trafficanti di persone che stanno creando nuovi corridoi verso la Bulgaria per la migrazione di massa» riferisce l’agenzia Bgnes citando il ministro degli Esteri austriaco, Johanna Mikl-Leitner. Per Vienna «è necessario» bloccare anche la rotta che passa per i Balcani orientali puntando appunto sulla Bulgaria. (Osservatore Romano)
Fonte: www.migrantesonline.it