Progetto “salute senza esclusione” per rom e sinti
ROMA (Migranti-press 39) – “I problemi sanitari, gravi, sono solo una parte delle condizioni di emarginazione e povertà che investono i nomadi in Italia. Sono anche quelli che più evidenziano quella forma di assistenzialismo che da sempre caratterizza le politiche nei loro confronti, fondate più sul controllo che sullo sviluppo”. Lo ha detto martedì scorso mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma, intervenendo alla presentazione del volume “Salute senza Esclusione” che racconta l’esperienza ventennale dell’omonimo progetto che l’Area Sanitaria della Caritas romana ha intrapreso dal 1987 con le popolazioni Rom e Sinti presenti in città.
Il Direttore della Caritas romana ha sottolineato che l’opera della comunità cristiana con i nomadi, “se confrontata ad altri importanti opere di carità ed accoglienza, è senz’altro quella che più dovrà interrogarci nei prossimi anni”. Ai “cambiamenti che hanno radicalmente mutato la presenza dei rom e dei sinti a Roma non è corrisposto un diverso atteggiamento della comunità. Ancora peggio, sembra quasi che più cresceva la loro presenza e più questi fratelli venivano ignorati e volutamente dimenticati in assembramenti ben nascosti ai nostri occhi”.
L’impegno della Caritas di Roma sarà – ha concluso mons. Feroci Direttore Caritas – quello di “continuare e migliorare la testimonianza della carità con i nostri fratelli Rom e Sinti, iniziando dall’Eucaristia domenicale, aprendo loro le nostre comunità parrocchiali per condividere insieme la mensa del Signore”.
Il progetto “Salute senza esclusione” è nato dall’esperienza del Gruppo Immigrazione e Salute del Lazio che, già dal 2002 – è stato spiegato in apertura dei lavori – ha coinvolto la Caritas romana in rete con tutte le aziende sanitarie pubbliche e associazioni del privato sociale in interventi sanitari all’interno degli insediamenti rom della capitale. Una esperienza lo scorso anno ripresa dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali che ha esteso in fase sperimentale tale iniziativa in sei città italiane (oltre a Roma, Firenze, Palermo, Messina, Milano e Trento) con un impiego di circa cento operatori del settore pubblico e del privato sociale, la collaborazione di molte organizzazioni di volontariato ed il coinvolgimento, diretto ed indiretto, di oltre 5.000 Rom, sotto la supervisione della Simm (Società Italiana di Medicina delle Migrazioni).
La lettura delle varie esperienze fatte in questo progetto ed il percorso realizzato a Roma negli ultimi anni, in “un’ottica di sanità pubblica – si legge nelle conclusioni del volume – ci ha evocato l’immagine di un camaleonte: la sanità pubblica come camaleonte. Animale non certo bellissimo, spesso non amato, al cui nome sono associati anche significati negativi, ma che ha come caratteristica fondamentale l’aver affinato capacità mimetiche particolari necessarie sia per difesa (è praticamente invisibile ai predatori), sia in attacco (riesce ad avvicinarsi alle prede senza che queste se ne accorgano). La sanità pubblica non è in questa logica di prede e predatori, ma certamente ha la necessità di capire e farsi capire, di non suscitare paure e di essere presente, porre domande e pretendere risposte, parlare linguaggi diversi e produrre atteggiamenti univoci nei confronti della salute”. Secondo gli operatori del progetto “non possono esistere regole standard, strumenti standard, approcci standard, ma tutto va mimetizzato e cucito su misura del gruppo umano di riferimento e, se vale quanto testimoniato dal progetto, insieme al gruppo umano. L’obiettivo finale è garantire accessibilità ai servizi per tutti, dare autonomia e pari opportunità per avviare percorsi e processi di salute”. Gli operatori chiedono una partecipazione, un impegno, una responsabilità a gruppi di popolazione, i Rom e Sinti, a fronte spesso di condizioni di isolamento forzato, di emarginazione sociale ed ambientale, di disuguaglianza evidente ed in alcuni casi di atteggiamenti di intolleranza. A volte ci è sembrato ipocrita – scrivono – parlare con loro di problemi di salute, di comportamenti da tenere, di abitudini da cambiare in ambienti estremamente degradati, in zone franche della dignità della persona, facendo pagare loro, che pur possono avere delle responsabilità, colpe ben più gravi di politiche miopi, organizzazioni incerte ed atteggiamenti ostili. (R.I.)