Sanaa, non chiamatela religione:
Fonte: ilmessaggero.it
“Nessun credo nelle parole di un padre miserabile”
ROMA (20 settembre) – Non chiamatela religione, non sfogliate nessun testo sacro per raccontare l’infamia di El Ketawi Dafani, un uomo che trascina sua figlia diciottenne per i capelli, la accoltella alla gola con la furia di un demonio, poi prende una bottiglia e, mentre lei sta morendo, gliela spacca sulla testa. Lasciamo Dio nella pace del cielo per accogliere Sanaa, pulita come una rosa che in terra non ha avuto tempo di fiorire, Sanaa che amava un italiano e chiedeva solo la libertà di farlo.
Basta. È finito il tempo della facile sociologia, dei dibattiti che fingono un confronto e un dialogo tra fedi diverse. Non può esserci nessun “credo” dietro le parole di questo padre miserabile che della sua creatura dice «era la mia vergogna», e del suo omicidio «era una settimana che ci provavo». La religione, anche la più severa, è comunque un firmamento di valori, è la cornice interiore di una civiltà, della convivenza felice degli uomini.
Nella mente di certi uomini la religione è solo un alibi. È il lasciapassare del dominio feroce e arbitrario contro chi è più debole. È il salvacondotto per edificare un lager personale, così come la patria e l’ideologia lo erano per i nazisti. Un lager di famiglia in cui sono rinchiusi bambini e donne. La schiavitù, lo insegna la storia, non ha bisogno di leggi o religioni. In certe culture coincide con il normale andare delle cose, Casablanca o Pordenone poco cambia; e tutto ciò che lo contrasta va aggredito con la rabbia di un coltello che penetra nella carne. La madre di Sanaa che perdona il marito non fa che chiudere il cerchio: «Ha commesso un gesto orrendo, ma è il padre di altre mie due figlie. Forse ha sbagliato Sanaa». Portiamole nei libri di scuola, queste parole, facciamole studiare ai nostri ragazzi perché sappiano che il Mostro è tra noi, gira a piede libero, parla e insegna, ha i suoi libri, le sue chiese e i suoi capi. Già, perché a riferire le parole della povera madre è l’imam di Pordenone, appoggiato dal clan familiare dell’assassino. È giusto così, del resto, non è bene che le donne parlino in pubblico… Fatna ha pianto disperata per Sanaa, poi però ha passato due giorni con i “fratelli” e con il loro leader spirituale. E dopo, guarda caso, ha “perdonato”. Perché i fanatici sanno presidiare bene i loro recinti. Sanno cosa si dice e quando. Sanno come si fa a non turbare troppo le masse indottrinate.
Così, mentre migliaia di stranieri perbene, anche musulmani, sudano e lavorano per il futuro dei loro figli, e altre migliaia di italiani lavorano e sudano per una vera integrazione, a far notizia sono i capi politici di un Islam che l’integrazione la vedono come il fumo negli occhi. Per loro sarebbe la definitiva perdita del potere. Quindi, meglio fingere di accettare e condividere mentre in realtà si continua a coltivare l’odio, a colpire la fuggitiva infedele per poi perdonare il killer dicendo persino che a sbagliare è stata lei. «Ha provveduto alla famiglia», riferisce l’imam, e vengono i brividi a pensare come.
È un altro pianeta, un regno che gronda sangue e ingiustizie, e noi lo stiamo lasciando crescere nel cuore del nostro Paese. E dire che per salvarci basterebbe aprire gli occhi e i codici. Gli occhi ci avrebbero fatto leggere nel modo giusto gli sms del padre che scriveva “se li vedo insieme, li uccido”. I codici dovrebbero farci portare fino in fondo, fino all’ergastolo, l’imputazione con cui il gip ha convalidato il fermo di El Ketawi Dafani: omicidio pluriaggravato per premeditazione, parentela, motivi futili e abietti.
È proprio così. L’infamia è tutta in questi tre concetti giuridici: un padre che, dopo averci pensato bene, decide di uccidere sua figlia perché vuole vivere libera. Altro che religione, altro che Corano e Profeta. “Motivi futili e abietti”.
Come sorridevi, Sanaa. Eri leggera eppure forte, chissà come volavi fra i tavoli dove facevi la cameriera mentre pensavi al tuo amore. Com’era bello avere diciott’anni, vero? Gli amici, Facebook, i jeans e addirittura qualche gonna… Com’era dolce, per te, pensare che eri nell’Italia del diritto, dove una donna è un cittadino e non un animale, non un mobile di casa. Perdonaci, Sanaa, e asciuga le tue lacrime: dove sei ora, il terrore non esiste più. Ora il terrore tocca a noi, e dobbiamo vincerlo qui sulla terra, un posto tormentato dove la libertà non si conquista mai una volta per tutte.