America Latina-Italia “vecchi e nuovi migranti” (I)
Presentazione del volume redatto da Idos (29 settembre 2009)
ROMA (Migranti-press 41) – Dei circa 4 milioni di italiani emigrati all’estero oltre un milione (poco meno di un terzo) vive in America Latina, che con una incidenza del 37,9% del totale si colloca subito dopo l’Europa per la presenza di italiani. L’Argentina, con oltre mezzo milione di presenze è il secondo Paese al mondo per presenza di italiani dopo la Germania, seguita dal Brasile (oltre 200mila), dal Venezuela (circa 100mila), dall’Uruguay con oltre 72mila e dal Cile con oltre 40mila italiani. In Italia i latinoamericani sono 316.000: 73 mila ecuadoriani, 70 mila peruviani, 37 mila brasiliani, 18 mila domenicani, il resto da altri Paesi. I dati sono riportati nel volume “America Latina-Italia. Vecchi e nuovi migranti” curato dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Migrantes, presentato nei giorni scorsi a Roma con una conferenza stampa e un convegno.
La presenza italiana in America Latina, spiegano i curatori del volume – diventa addirittura “imponente quando si tiene conto dei discendenti degli italiani, che sarebbero circa la metà dell’attuale popolazione argentina e quasi un sesto (31 milioni) di quella del Brasile, dove, nello Stato di San Paolo, raggiungerebbero il 50%”. Alto è anche il numero di richieste di acquisizione della cittadinanza italiana jure sanguinis. Nel 2006, rispetto ai 71.000 casi definiti positivamente, vi erano 1 milione e 83 mila pratiche in giacenza.
“Come nel passato – precisano – l’innesto degli italiani in America Latina è stato proficuo, così, in un’Italia fortemente bisognosa di manodopera aggiuntiva, i latinoamericani sono apprezzabili dal punto di vista non solo lavorativo ma anche socio-culturale”.
I latinoamericani in Italia sono un decimo dei residenti stranieri. Alla fine del 2007, su 2.704.450 lavoratori nati all’estero, quelli nati in America Latina sono 248.000 (9,2%). Ogni 10 presenze 4 si trovano nel Nord Ovest e 2 nel Nord Est, mentre 2 sono nel Centro e 1 nel Sud. Il loro inserimento occupazionale avviene in gran parte nelle famiglie per il servizio alle persone.
“Proprio perché questo inserimento non facilita i ricongiungimenti familiari – dicono i curatori del volume – non è stato raggiunto l’equilibrio di genere con la venuta dei mariti e dei figli, con i pesanti problemi socio-affettivi che ne conseguono”. Dalla ricerca emerge che quando un italiano sposa una cittadina straniera in un quinto dei casi sceglie una latinoamericana (brasiliane in testa) e in un decimo dei casi è la donna italiana che sceglie lo sposo tra i latinoamericani (argentini in testa).
Altro dato: dei 600.000 alunni con cittadinanza straniera iscritti nell’anno scolastico 2007-2008, un decimo (60.223) è di origine latinoamericana. In Italia, inoltre, operano una dozzina di testate latinoamericane gratuite e una ventina di emittenti radiofoniche.
Un altro segno di vitalità è costituito dall’aumento degli imprenditori latinoamericani che, pur tra le difficoltà di ottenere un credito iniziale, recuperano le abilità maturate nei Paesi di origine o valorizzano quanto appreso nei diversi settori in cui sono stati occupati in precedenza come dipendenti in Italia. Ad avere più di mille imprese in Italia sono solo i cittadini originari del Perù, dell’Ecuador e del Brasile, Paese questo che ha anche il più alto tasso di imprenditorialità (1 imprenditore ogni 25 residenti). I latinoamericani, fatta eccezione per i brasiliani, mostrano una predilezione per il settore edile. A operare maggiormente nelle imprese manifatturiere sono, con un sesto delle aziende, i titolari di impresa originari dell’Argentina, della Colombia e del Venezuela.
La presenza dei latinoamericani, come degli altri immigrati – spiegano i promotori della ricerca – costituisce un’opportunità per lo sviluppo dell’Italia, ma può esserlo anche per i Paesi di origine dei migranti senza porre in contrasto immigrazione e sviluppo. Nel contesto attuale, se si chiudessero i flussi migratori, verrebbero anche a mancare quei spiragli di sviluppo che tali flussi alimentano”. La questione va affrontata con “un senso di apertura e di consapevolezza storica, considerando che l’emigrazione è stata funzionale anche allo sviluppo dell’Italia”.