Europa, Balcani, migrazioni
Foto: Ipsia del Trentino
L’Europa appare divisa: in parte lo è sempre stata, in parte la crisi ha reso le fratture ancora più evidenti. In questo contesto spiccano alcuni elementi, soprattutto legati alle sue frontiere: il delicato equilibrio dei Paesi balcanici, le masse di persone che spingono ai confini dell’Unione, il nuovo emergere di vecchi blocchi rivisitati in chiave post-moderna.
Il posto dei Balcani è all’interno dell’Unione europea, e non tanto o solo per questioni storiche o di “buonismo”, inteso come “voler includere tutti”. Escluderli dall’Europa comporterebbe delle conseguenze importanti a livello geopolitico, soprattutto se si considera l’interesse della Russia per la Serbia e degli USA per il Kosovo. Impossibile ignorare, d’altro canto, anche la delicatissima relazione tra i due Paesi, ed a come questa può incidere sul destino di migliaia di persone. Vari episodi intercorsi hanno portato ad una recrudescenza nella relazione da entrambe le parti. La situazione ha destato così tanta preoccupazione che Federica Mogherini, Alta rappresentante della politica estera europea, ha invitato a Bruxelles i rappresentanti dei due Paesi per un incontro. Abbiamo chiesto una dichiarazione all’Associazione Trentino con i Balcani, che da anni ormai opera in questo contesto. Laura Bettini, la presidente, ha affermato: “È indubbia la nostra preoccupazione in merito ai recenti avvenimenti che hanno interessato la regione. Siamo coscienti della complessità della situazione ma siamo fiduciosi che, con il sostegno di un esteso lavoro di mediazione, le tensioni si possano attenuare. La normalizzazione delle relazioni presuppone un percorso lungo e complesso che deve partire dal dialogo, dal rispetto e dal riconoscimento reciproco. In questo le organizzazioni non governative, e noi di ATB, possiamo e dobbiamo essere ponti, lavorando con le istituzioni, gli enti locali, la popolazione e le associazioni serbe e kosovare per continuare ad accompagnare processi di sviluppo realmente sostenibili e una democrazia sempre più partecipata. Perché crediamo fortemente nell’appartenenza della gente balcanica all’Europa”.
Parole di rispetto per entrambe le parti: e d’altronde, è innegabile che l’Europa abbia bisogno di Balcani pacificati nel senso più alto. È necessario che le economie crescano, e che ci sia un aumento del benessere: le persone non vogliono solo sopravvivere, vogliono vivere. E questo riguarda anche i migranti. Le immagini che sono circolate in rete recentemente, con le lunghe code ai confini della Serbia ricordano quelle in bianco e nero degli anni ’40. Il Paese è diventata parte del percorso che da Grecia e Macedonia porta in Europa: attualmente sono migliaia le persone bloccate nell’inverno di Belgrado – un’emergenza umanitaria che dovrebbe farci riflettere. Certo è un tema complesso: si tratta (ancora una volta) di decidere quale Europa vogliamo.
La risposta all’emergenza arriva soprattutto dal mondo civile: in Serbia sono già in prima linea (tra gli altri) Caritas, Medici senza Frontiere, IPSIA del Trentino. “Le condizioni dei migranti sulla rotta balcanica per entrare in Europa sono in questi giorni drammatiche. Ammassati nei campi profughi o in accampamenti di fortuna in Serbia si stimano tra le 7 mila e le 10 mila persone, provenienti principalmente da Afghanistan, Pakistan, Siria, Iraq: non sono solo giovani, ma anche persone deboli come anziani, bambini, intere famiglie che attendono di oltrepassare il confine ungherese a nord del Paese in condizioni precarie, alle prese con temperature che negli ultimi giorni di gelo hanno superato i 20° sotto zero, raggiungendo in alcune zone del sud della regione i – 30°. Nei centri per richiedenti asilo di Belgrado, Preševo e Serbia occidentale la Caritas sta fornendo zuppe calde, coperte, scarpe e un minimo ristoro; diversa la situazione per le migliaia fuori da questi centri cosiddetti regolari perché il governo considera l’assistenza al di fuori dei campi un’attività irregolare e un incoraggiamento per i migranti a rimanere in condizioni pericolose. Ma i disperati che non vogliono stare nei cosiddetti campi regolari per paura di essere identificati sono migliaia, e si muovono come “senzatetto” verso valichi o sottopassi ferroviari, bruciando qualche legno per scaldarsi, e continuando la loro strada verso il confine ungherese”, scrive Giuliano Rizzi, coordinatore dell’associazione.
Si parla di flussi migratori e si citano numeri, spesso dimenticando che stiamo parlando di esseri umani. Se il 2016 ha visto un incremento negli arrivi, la prospettiva per il 2017 è un ulteriore aumento. In Europa si discute su come integrare qualche migliaia di persone, ma non ci rendiamo conto che la situazione andrà solo a peggiorare. Lidia Menapace, studiosa e politica, la inquadra in una prospettiva più ampia: nella storia mondiale sono sempre avvenuti sia i movimenti dei nomadi, che di gruppi etnici e religiosi. Ma in particolari situazioni di frattura nella continuità storica questi hanno assunto numeri rilevanti e sono diventati inarrestabili. Un paio di esempi: all’indomani della caduta dell’Impero Romano, con le invasioni barbariche; ed all’indomani della scoperta del Nuovo Mondo, con l’invasione delle Americhe.
Ma questo provoca tensioni che chiamano in causa l’essenza stessa della democrazia. Ed infatti tanto in Europa come negli Stati Uniti, i venti di chiusura sembrano prevalere: è di pochi giorni fa la notizia della costruzione del muro tra USA e Messico, voluta dal neopresidente Trump – per non parlare del “No Muslim Ban”. Resta da capire come si muoverà nella politica estera: viste le premesse, si può ipotizzare a ragion veduta il ritorno ad un forte protezionismo interno.
Poche speranze e tante incertezze: la possibile balcanizzazione dell’Europa da un lato, unita alla finlandizzazione dei Balcani dall’altro? Forse una nuova chiave di lettura che lascia ben sperare viene da un articolo di Bernard Guetta che fa il punto rispetto al mondo intorno all’Europa: la politica statunitense attuale, profondamente distante dalle posizioni dell’Unione europea; Putin e la Russia, che da sempre sono un vicino “importante”, dalle relazioni delicate; l’Africa ed il Medio Oriente, con tutti i conflitti e le persone in fuga. Ed afferma: “tra le sfide a est, l’allontanamento a ovest e le minacce a sud, gli europei hanno improvvisamente cominciato a dire che è arrivato il momento di contare su loro stessi e serrare i ranghi”.
Che sia la volta buona per ricomporre almeno parte delle fratture?
Novella Benedetti
Fonte: www.unimondo.org