Roma. I migranti felici nel corteo
di Pierluigi Sullo
Sebbene grigio,il tempo ha retto: era prevista pioggia, sabato pomeriggio a Roma, ma a parte qualche goccia nessuno si è inzuppato. Diversi treni e centinaia di pullman, e poi il corteo degli studenti in partenza dalla Sapienza, una piazza della Repubblica che si è riempita via via a dismisura, e già alle tre del pomeriggio il corteo non era partito da davanti alla stazione Termini ed era già oltre piazza Vittorio. Bandiere,striscioni, camion dotati di musica (tra i quali quello “clandestino” di Carta). Un mucchio di gente, la scena classica di una manifestazione nazionale, che gli organizzatori avevano deciso di far terminare (con comizi tenuti da oratori la cui scelta aveva provocato diverse crisi di nervi e competizioni feroci) in piazza Bocca della Verità, giù oltre piazza Venezia, dopo aver appunto invaso la piazza più migrante di Roma, Piazza Vittorio, ed essere passato di fianco al Colosseo (visti moltissimi migranti fotografare il famoso monumento che ammiravano per la prima volta).
Eppure, c’erano molte differenze. La prima, la più vistosa, era la presenza enorme di migranti: di ogni nazionalità, colore della pelle, eventuali segnali religiosi o politici, sotto le bandiere della Cgil (moltissimi) o con associazioni, collettivi, o organizzati in loro coordinamenti cittadini, erano forse un terzo o un quarto delle persone nel corteo. Vent’anni fa, alla manifestazione per Jerry Masslo, sudafricano ucciso a Villa Literno, la folla era enorme, i migranti pochissimi. Sabato erano una marea, evidentemente felici di poter mostrarsi senza paure, gridare e cantare e ballare (come i lavoratori neri di Caserta, che avanzavano danzando tutti insieme), insomma di esserci: come lavoratori, persone, famiglie con bambini, come una parte legittima e importante della società italiana (parole quasi testuali di uno dei tanti altoparlanti da cui si spiegavano le ragioni del corteo a folle di turisti stupefatti). Non fosse che per questo, la manifestazione di Roma è stata un grande successo. Il clima di caccia all’uomo creato dal “reato di clandestinità”, lo stato di emergenza permanente è stato sospeso, anche per un solo pomeriggio.
Poi i ragazzi, anch’essi una quantità debordante, studenti e giovani, con i centri sociali o le scuole, o le associazioni e le reti locali, i veneti con il Leone di Venezxia diventato antirazzista, in grandi gruppi e con grandi camion (come quello di Yo migro!, dietro al quale camminavano le organizzazioni di strada ecuadoriane di Genova) o con piccolissimi striscioni scritti a mano.
Il corteo è stato, per fortuna, molto confuso: pezzi di Cgil un po’ dappertutto, ma una innumerevole quantità di piccole aggregazioni, bandiere di comunisti di ogni genere ma partiti stracciati o invisibili, pochi cattolici (anzi ne3ssun gruppo organizzato, e questo è un problema, visto quanto è importante il loro lavoro nell’antirazzismo minuto dei quartieri e dei paesi).
Morale (secondo noi): quando viene offerto un canale da percorrere per “far politica”, ossia affermare una presenza (come nel caso dei migranti ridotti al ricatto e al silenzio), quel canale si riempie impetuosamente. E la Cgil, soprattutto, si è offerta di svolgere questa funzione: essere iscritti al sindacato, per i lavoratori migranti, è un anello importante nel percorso di ambientamento, di vita, di tessitura di comunità nel nostro paese. Ma allo stesso tempo questo tessuto è fatto – e si è a sua volta mostrato nelle strade – di una quantità inverosimile di aggregazioni sociali che, ciascuna secondo la sua inclinazione, raccordano la vita delle città e delle sue presenze: la scuola e le donne, i bambini e la cultura… E quel che ne esce è una Italia molto diversa da quella di venti anni fa, quando si manifestava per i migranti, non con i migranti. E un titolo come quello dell’Unità di domenica, “Parola d’ordine:integrazione”, dimostra che la politica (in questo caso il Pd) è lontanissima dall’averlo capito.
P. S. Carta ha addobbato un furgone di simboli “clandestini”, ha messo su un po’ di musica e non ha chiesto a nessuno di marciare insieme a noi. E però il furgone “clandestino” è diventato un appuntamento itinerante, chi passava veniva a fare due chiacchiere o a prendere il giornale, una maglietta o una felpa o una bandiera Clandestino (e se ne vedevano a centinaia, nel corteo). Anche noi eravamo contenti come i migranti. Grazie a tutti.