Ma l’Australia non dice solo “No way”
di Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin
Nonostante la politica migratoria molto rigida, ogni anno in Australia entrano più immigrati che in Italia, contribuendo a mantenere un saldo positivo della popolazione. Sono arrivi legati alle esigenze del mercato e con il coinvolgimento di sponsor.
La storia delle migrazioni in Australia
Si parla molto in questi giorni del “modello Australia” sull’immigrazione, citando la campagna “No way” e la rigida politica nei confronti dei richiedenti asilo. Sarebbe utile però considerare la politica migratoria australiana nel suo insieme, ragionando anche sugli ingressi per motivi di lavoro e sulla selezione dei migranti qualificati.
Va ricordato innanzitutto che la storia dell’Australia va di pari passo con la sua storia migratoria. Nel 1788, quando arrivarono gli inglesi, la popolazione australiana contava circa 400 mila abitanti. A fine Ottocento era quasi decuplicata, raggiungendo quota 3 milioni. Dopo la seconda guerra mondiale, il governo favorì fortemente l’immigrazione, soprattutto da Regno Unito, Italia e Grecia.
Nel 2014, a seguito di un aumento degli sbarchi di migranti provenienti da Afghanistan, Sri Lanka, Iran e Iraq (18 mila tra il 2012 e il 2013,), l’Australia ha lanciato la campagna “No way”, basata su due pilastri fondamentali:
– accoglienza affidata a paesi terzi. Sono stati stipulati accordi con altri paesi del Pacifico (Papua Nuova Guinea, Nauru, Kiribati, ma anche Cambogia) disposti a gestire le procedure di identificazione (e l’accoglienza) dei migranti. Anche qualora ottengano lo status di rifugiato, i migranti non possono raggiungere l’Australia, ma solo rimanere nei paesi in cui sono stati accolti;
– pattugliamento delle frontiere. Le imbarcazioni che tentano di raggiungere l’Australia sono “dirottate” verso i paesi di partenza (in particolare l’Indonesia) o verso gli hotspot nei paesi terzi.
Naturalmente, un simile approccio è possibile grazie alla conformazione geografica (unico approdo e facilità di pattugliamento, distanze molto ampie) e ai rapporti di forza tra l’Australia e i paesi insulari del Pacifico (Nauru è grande come Lampedusa e conta circa 10 mila abitanti).
Questa politica è stata fortemente criticata sia da gruppi della società civile che dalle Nazioni Unite, per le condizioni durissime dei centri di accoglienza e per il mancato rispetto della Convenzione di Ginevra, che impone a ogni paese di valutare al proprio interno le richieste d’asilo ricevute.
Gli ingressi legali
Parallelamente alla stretta sui migranti forzati, l’Australia ha mantenuto canali legali per quelli economici, cercando di soddisfare le esigenze del sistema produttivo nazionale.
Esistono diversi tipi di “visto temporaneo”, generalmente di un anno, volti a favorire brevi esperienze soprattutto per i giovani e in determinati settori (ad esempio l’agricoltura).
Per quanto riguarda i permessi di lunga durata, invece, viene effettuata una rigida selezione volta a far entrare solo i lavoratori con determinate competenze. Periodicamente i ministeri dell’Interno e dell’Istruzione aggiornano l’elenco dei profili richiesti. La selezione si basa poi su due criteri: da un lato, un colloquio per dimostrare di possedere alcuni requisiti quali: età (massimo 45 anni), conoscenza della lingua, qualifica professionale riconosciuta dalle autorità australiane, buone condizioni di salute e fedina penale pulita; dall’altro lato, la presenza di uno sponsor (datore di lavoro) che garantisca l’effettiva esistenza del rapporto di lavoro.
Tendenze demografiche a confronto
In base a questa politica migratoria, l’Australia mantiene una crescita demografica costante intorno all’1,6 per cento annuo e una popolazione straniera intorno all’8,9 per cento.
Secondo l’ufficio statistico australiano (Australian Bureau of Statistics), tra il 1996 e il 2016 la popolazione australiana è aumentata del 33 per cento (da 18,2 a 24,2 milioni) e l’incremento è dovuto per il 56 per cento ai movimenti migratori (saldo migratorio attivo per 3,3 milioni).
Nel 2017 la popolazione è ulteriormente aumentata dell’1,6 per cento, raggiungendo quota 24.770.700. Il saldo naturale è positivo (+148 mila), così come il saldo migratorio (+241 mila): 530 mila ingressi contro 289 mila partenze.
Tabella 1
* Dato aggiornato al Censimento 2016
Fonte: elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Istat e Australian Bureau of Statistics
Se si confrontano i dati australiani con quelli dell’Italia, bisogna in primo luogo tener conto della diversa densità di popolazione (Italia 200 ab/kmq, Australia 3 ab/kmq) e della presenza di ampie aree desertiche. Possiamo comunque evidenziare alcuni elementi demografici significativi.
La principale differenza sta nel saldo naturale: in Italia è negativo quasi ininterrottamente dal 1993, segno di un invecchiamento demografico tanto significativo quanto sottovalutato. L’Australia invece continua a crescere, con più nati che morti.
Sul fronte migratorio, nonostante la politica molto rigida, il saldo australiano è superiore a quello dell’Italia, così come il numero degli ingressi. La caratteristica principale sta nella selettività degli arrivi, legati alle esigenze del mercato australiano (attraverso un lungo processo che coinvolge diversi ministeri) e al coinvolgimento dei datori di lavoro (sotto forma di sponsor).
Un approccio radicalmente diverso rispetto alla politica migratoria attuata dall’Italia negli anni Novanta e Duemila, basata su sanatorie (regolarizzazioni a posteriori) e “click day” (selezione basata sul criterio cronologico).