Nella notte è morto Sher Khan, dormiva all’addiaccio
Fonte: clandestino.carta.org
Si chiamava Sher Khan l’uomo pakistano che è morto la notte scorsa a Roma a causa del freddo; era tra le circa 200 persone sgomberate a settembre dall’ex museo della carta, uno stabile in via Salaria 971. Il suo vero nome era Mohammed Muzaffar Alì, detto Sher Khan, attivista per i diritti umani, presidente e fondatore dell’ Associazione Unione Dei Lavoratori Asiatici [Uawa] in Italia.
«E’ morto – spiega il consigliere comunale di Action Andrea Alzetta – a causa del freddo intenso, era un rifugiato pakistano, ed era senza fissa dimora dopo essere stato sgomberato dall’ex museo della carta. Ho conosciuto personalmente Sher Khan, uomo leale e coraggioso vittima di un sistema che dovrebbe produrre sicurezza, ma che in realtà genera ben altro».
Sono molte le reazioni all’annuncio della morte di Sher Khan. L’assessore al bilancio della Regione Lazio Luigi Nieri ha ricordato che «si tratta di una persona che nella nostra città ha vissuto a lungo, impegnandosi anche in numerose lotte sociali, un punto di riferimento per la comunità pakistana, per i migranti di Roma e, più in generale, per tutti coloro che si occupano di immigrazione. L’ho conosciuto nel corso dell’occupazione dell’ex pastificio ‘Pantanella’ insieme a Dino Frisullo e don Luigi Di Liegro, in quella che fu una stagione di lotte ma anche di grande democrazia». «Le circostanze in cui è maturata [la sua morte, ndr.] – aggiunge Nieri – ci danno il segno di una città che sta diventando sempre più inospitale e indifferente ai problemi dei più bisognosi. E’ grave che un individuo come lui, che conosceva benissimo questa città, sia potuto morire nel totale abbandono e nell’indifferenza, in pieno centro».
Come sottolinea Mario Antonio Angelelli, dell’Associazione Progetto Diritti, «sono migliaia le manifestazioni, le occupazioni di case sfitte, gli incontri, le visite agli aggrediti o agli infortunati sul lavoro [ha contribuito a costituire il Comitato Singh Mohinder per la tutela dei familiari stranieri delle vittime del lavoro], i comunicati, le denunce [una, ultimamente, anche contro il ministro Maroni], i volantini, i manifesti, che hanno visto per un ventennio Sher Khan come instancabile protagonista, a volte anche rischiando in proprio, visto che, incredibilmente, proprio lui, ultimamente era diventato un ‘clandestino’ e non aveva un permesso di soggiorno».