I numeri ci dicono ancora qualcosa?
di Sergio Durando
I migranti sbarcati in Italia dal 1 gennaio al 28 settembre 2018 sono 21.024 di cui 12389 provenienti dalla Libia, se rapportati nello stesso periodo agli anni precedenti vediamo un – 80% rispetto al 2017 (104.889 persone) e – 84% rispetto al 2016 (132.043). A fine anno nel 2016 erano entrate 181.436, mentre nel 2017, 119.369 persone. Tra i 21.024 ci sono 3027 minori stranieri non accompagnati, nel 2107 erano sbarcati in 15.779, mentre nel 2016 erano stati 25.846.
Questi dati ci pongono evidentemente subito una domanda… ma c’è una reale emergenza?? Di che numeri stiamo parlando…? Perché nessuno parla mai degli oltre 100.000 italiani che ogni anno escono dall’Italia per disseminarsi in ogni angolo del mondo, mentre ogni giorno siamo “bombardati” da un continuo allarmismo nei confronti di quanti entrano in Italia?
E a livello europeo? Il numero di migranti e rifugiati che sono arrivati in Europa quest’anno è di 73.696, quasi un terzo del totale dello scorso anno di 172.362 e quasi un settimo dei 348 mila registrati nel 2016. Questi dati riportati dall’OIM si riferiscono al 9 settembre 2018. Dei 73696 circa 32.000 sono sbarcati in Spagna, 21.000 in Italia e 20.000 in Grecia. Certo un numero insignificante se rapportato ai 68 milioni e mezzo fuggiti nel 2017 in conseguenza di guerre, persecuzioni ma anche terremoti, cambiamenti climatici, siccità, povertà estrema (di questi oltre 20 milioni hanno varcato le frontiere del proprio paese).
La domanda che molti si pongono inseguito anche a tanta preoccupazione di chi governa il Paese è se dunque l’immigrazione rappresenti un’urgenza così forte tanto da essere affrontato come il principale problema ricorrendo addirittura allo strumento della decretazione di urgenza per regolare questa materia.
Oggi Il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza approvato all’unanimità dal consiglio dei ministri il 24 settembre è molto criticato da esperti, giuristi, associazioni, volontari che ne hanno denunciato i punti più problematici. Certamente è un tema importante quello dell’immigrazione e il fatto di occuparsene è importante e necessario. Certamente la “Bossi/Fini” rappresenta una situazione migratoria che dal 2002 è fortemente cambiata e quindi va rivista la risposta legislativa ma questo strumento non sembra rispondere ai problemi veri che l’immigrazione pone a questo paese.
Riduce il fenomeno migratorio alle migrazioni forzate, introduce misure sanzionatorie discutibili, precarizza il diritto d’asilo e di cittadinanza e soprattutto non introduce strumenti d “integrazione” per dare risposte agli oltre 5 milioni di stranieri che da anni vivono in Italia e ai loro figli.
Ma è evidente una semplificazione, “mescolando” temi profondamente diversi. Mette insieme immigrazione, richiedenti asilo, sicurezza e terrorismo. Ma perché si parla di immigrazione e poi gli interventi sono per la maggior parte dedicati ai richiedenti asilo, di cui abbiamo analizzato i numeri? Perché non vengono introdotte misure d’integrazione per gli oltre 5 milioni di stranieri regolarmente presenti in Italia che sono ben di più dei 21.000 sbarcati quest’anno? Chi si occupa o si è adoperato per l’accoglienza sa che il grosso scoglio non è tanto la prima accoglienza (che pure presenta nodi problematici) ma il lavoro, la casa e la salute. Temi sui quali in questi anni si è disinvestito, riducendo fortemente gli investimenti sul sistema di welfare, colpendo maggiormente le fasce deboli e arrivando a creare “guerre tra i più poveri”. Identificando nei migranti una delle cause e quindi visti sempre più come concorrenti, in taluni casi più protetti di altre categorie.
Una politica che mette in concorrenza i più poveri tra di loro non offre una soluzione alle persone semmai contribuisce a far crescere conflittualità sociali che certo minano la sicurezza. Forse la soluzione più che dividere, dovrebbe essere invece quella di investire maggiormente sul sistema di welfare per dare delle risposte ai bisogni reali della popolazione, non escludendo nessuno.
Oggi chi opera nei territori soprattutto più periferici e marginali sa bene che la conflittualità sociale è forte, aumentano fenomeni di violenza e crescono fronti contrapposti; le comunità si stanno sempre più sfilacciando. Non governare ma addirittura invece spingere a “separare” è un gioco pericoloso, con il rischio di precarizzare i diritti o trasformarli in privilegi.
Oggi deve diventare una priorità costruire comunità coese, unite, aperte solidali. Forse dobbiamo fare meno incontri di formazione tra di noi e invece fare più incontri con e tra le persone che vivono acconto a noi, nei nostri quartieri. D’altronde è banale ricordarci che ogni volta che noi, i volontari che operano con noi, i vari gruppi, i giovani hanno avuto occasioni concrete per incontrare l”Altro” sono caduti tanti pregiudizi, paure.
Le scuole oggi rappresentano un campo importante dove tornare ad investire energie. Io incontro tanta stanchezza e scoraggiamento in molti volontari e operatori dell’accoglienza. Incontro tanti dubbi anche tra noi cristiani rispetti al da farsi, tanta confusione. Io stesso alcune volte mi sento così… tirato per la giacca da tanti fronti, sempre nuove emergenze perché il sistema di welfare è chiaramente insufficiente e inadeguato a rispondere ai bisogni della gente.
Io stesso ogni tanto avverto solitudine, la sensazione di lottare contro i mulini a vento. Ma forse questa è l’ora della prova a cui non dobbiamo sottrarci…. nel sostenere chi opera nell’accoglienza, nell’incoraggiare azioni di apertura, nel dar voce alle tante silenziose esperienze di bene che ci sono… ad ascoltare chi non capisce, chi fatica a costruirsi un’opinione, a non giudicare ma ad accompagnare nel rileggere i cambiamenti, a costruire occasioni di conoscenza e confronto nelle nostre comunità, nel rinegoziare regole di convivenza… nel ribadire con forza i nostri ideali… Per noi cristiani il principio è chiaro… accoglienza a tutti e sempre “ero forestiero e mi avete accolto” senza se e senza ma, lasciando alla politica la prudenza di come gestire le varie realtà, senza sottrarci dal dibattito e senza farci strumentalizzare, ma interrogandoci seriamente partendo sempre dal Vangelo e non solo dalle nostre percezioni o offuscati dalle paure che qualcuno ci butta addosso.
Oggi dobbiamo lavorare per evitare letture semplificate e strumentalizzate, operare per costruire la pace sociale, per riconciliare le nostre comunità divise, lavorare per tutti i poveri.
La domanda potrebbe essere ma come siamo arrivati a questo punto?
Intanto La mobilità umana si conferma fra i temi di maggior dibattito nella società attuale. Il monitoraggio delle notizie riguardanti l’immigrazione apparse nei telegiornali di prima serata delle reti Rai, Mediaset e La7 rivela che in dodici anni i riferimenti all’immigrazione sono aumentati di oltre dieci volte, passando dalle 380 notizie del 2005 alle 4.268 del 2017. In questi anni ci sono state varie fasi:
- la contrapposizione tra migranti forzati e quelli economici. Chi scappa dalla guerra Si, chi viene per lavoro o chi scappa dalla povertà NO: abbiamo già i nostri. Da più parti questa appare come un alibi della politica per non rispondere ad una categorizzazione molto più complessa. La dottrina sociale della Chiesa parla di “rifugiati di fatto” anche se non rientrano nelle categorie identificate dalla convezione di Ginevra del 1951, che ad esempio non contempla tutta la mobilità forzata dei “rifugiati ambientali”. Il documento inviato dalla santa sede per il global compact for migration supera la distinzione tra migrazioni forzate e migranti economici.
- ma poi abbiamo anche sentito dire che anche chi scappa dalla guerra e da persecuzioni non è vero… cercano una situazione di vita migliore. Abbiamo assistito all’attacco delle ONG, attacchi chiari a chi fa solidarietà ai migranti, fino ad arrivare alla chiusura dei porti e delle frontiere, cavalcando la paura dell’opinione pubblica che nel frattempo è cresciuta
- la sensazione di minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico ricondotta all’immigrazione ha sperimentato dal 2013 una crescita costante Si è tornati ad invocare il rimpatrio come soluzione al “problema”. Nel corso del 2017 i telegiornali di prima serata si soffermano per lo più sui flussi migratori (40%), riservando quasi la metà delle notizie ai numeri e alla gestione degli sbarchi sulle coste italiane. Un ulteriore 34% dei servizi telegiornalistici è dedicato a questioni che mettono in relazione immigrazione, criminalità e sicurezza.
Analizzando le nazionalità degli arrivi in Italia troviamo:
- Tunisia 4487
- Eritrea 3047
- Sudan 1595
- Pakistan 1354
- Iraq 1353
Certo credo sia superficiale constatare come si tratti di paesi non così tanto tranquilli da poter dire con serenità che chi scappa è un migrante economico. E con la Tunisia? Abbiamo un accordo per il rimpatrio di 80 persone al mese.
Appare evidente un tentativo di semplificazione nel cercare soluzioni, un a semplificazione pericolosa nella lettura di un fenomeno complesso che proprio perché tale deve essere gestito in modo complesso.
Oggi la posizione dell’Italia e dell’Europa che giocano al “braccio di ferro” per non accogliere 177 persone sulla Diciotti, sembra davvero miope difronte alle grandi sfide che le migrazioni pongono al mondo intero:
- Investimenti nei paesi più poveri in particolare in Africa
- Corridoi umanitari
- Sistemi di accoglienza efficaci e non improvvisati
Nel concreto quali novità del decreto Salvini?
Il decreto si compone di tre titoli: il primo si occupa di riforma del diritto d’asilo e della cittadinanza, il secondo di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata; e l’ultimo di amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia. Alcune delle modifiche:
Abolizione della protezione umanitaria
Nel 2017 in Italia sono state presentate 130mila domande di protezione internazionale: il 52 per cento delle richieste è stato respinto, nel 25 per cento dei casi è stata concessa la protezione umanitaria, all’8 per cento delle persone è stato riconosciuto lo status di rifugiato, un altro 8 per cento ha ottenuto la protezione sussidiaria, il restante 7 per cento ha ottenuto altri tipi di protezione.
Sarà introdotto, invece, un permesso di soggiorno per alcuni “casi speciali”, cioè per alcune categorie di persone: vittime di violenza domestica o grave sfruttamento lavorativo, per chi ha bisogno di cure mediche perché si trova in uno stato di salute gravemente compromesso o per chi proviene da un paese che si trova in una situazione di “contingente ed eccezionale calamità”. È previsto infine un permesso di soggiorno per chi si sarà distinto per “atti di particolare valore civile”.
Meno permessi di soggiorno umanitari meno protezione per le persone, quindi più irregolari. Chi lavora sui territori sa bene che l’irregolarità non va di pari passo con la sicurezza… e che gli irregolari possono essere la “materia prima” della micro delinquenza e le persone diventano “invisibili, senza diritti pur continuando a vivere nel paese. Ad oggi si calcola siano tra i 500/700 mila le persone irregolari.
Estensione del trattenimento nei Cpr. Ora gli stranieri che sono trattenuti nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), ex Cie, in attesa di essere rimpatriati possono essere trattenuti al massimo per 90 giorni. Il limite si sposta fino a un massimo di 180 giorni.
Più fondi per i rimpatri. All’articolo 6 è previsto lo stanziamento di più fondi per i rimpatri: 500mila euro nel 2018, un milione e mezzo di euro nel 2019 e un altro milione e mezzo nel 2020.
Restrizione del sistema di accoglienza. Il Sistema per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati (Sprar), il sistema di accoglienza ordinario che è gestito dai comuni italiani, sarà limitato solo a chi è già titolare di protezione internazionale o ai minori stranieri non accompagnati. Sarà quindi ridimensionato e cambierà nome.
Lo Sprar è il sistema di accoglienza controllato dagli enti locali, il sistema che garantisce una distribuzione più omogenea sui territori, una gestione trasparente delle risorse economiche, un sistema che evitando le grosse concentrazioni raggiunge risultati significativi nell’inserimento delle persone. Perché smantellarlo?
Perché privilegiare le concentrazioni di persone in strutture con grandi numeri che rendono impossibile qualsiasi forma di inserimento nel sistema sociale, formativo ed economico?
Esclusione dal registro anagrafico dei richiedenti asilo. L’articolo 13 del decreto prevede che i richiedenti asilo non si possano iscrivere all’anagrafe e non possano quindi accedere alla residenza. Le battaglie per la residenza sono state una conquista di questi anni per evitare di avere persone sul territorio senza averne una precisa mappatura e nello stesso tempo per l’accesso ai servizi delle persone che altrimenti ne rimangono escluse. Non è certamente una misura che favorisce l’inclusione.
Riforma della cittadinanza. Il decreto prevede che sia modificata la legge italiana sulla cittadinanza del 1992. La domanda per l’acquisizione della cittadinanza potrà essere rigettata anche se è stata presentata da chi ha sposato un cittadino o una cittadina italiana. Finora le domande per matrimonio non potevano essere rigettate. Il contributo richiesto per la domanda aumenta da 200 a 250 euro, inoltre è prolungato fino a 48 mesi il termine per la concessione della cittadinanza sia per residenza sia per matrimonio. È inoltre introdotta la possibilità di revocare (o negare) la cittadinanza a chi viene condannato in via definitiva per reati legati al terrorismo. La revoca è possibile entro tre anni dalla condanna definitiva, per decreto del presidente della repubblica su proposta del ministro dell’interno.
Altre novità: possibilità per le polizie municipali dei comuni con più di centomila abitanti di sperimentare l’uso dei taser, cioè di armi a impulsi elettrici, l’estensione dei daspo cioè i divieti di accedere a manifestazioni sportive, che saranno estesi anche a chi è indiziato per reati connessi al terrorismo. Il cosiddetto “daspo urbano”, introdotto dal decreto Minniti sulla sicurezza nel 2017, si potrà applicare anche nei presidi sanitari, in aree in cui si stanno svolgendo fiere, mercati e spettacoli pubblici. Infine il blocco stradale tornerà a essere un reato invece che una violazione amministrativa.
La lotta al terrorismo è un tema molto sentito dall’opinione pubblica, ma l’identikit del terrorista di questi anni in Europa evidenzia storie di marginalità, di “mancata integrazione”, di esclusione, persone di seconda generazione più che non sbarcati dell’ultima ora. Forse come dicevano bene Falcone e Borsellino a proposito della mafia che si combatte anche sui banchi di scuola oltre che con tutte le misure di contrasto e controllo, così oggi sembrano inadeguate le risposte che emergono dal decreto…. Certamente si rafforza con la revoca o diniego della protezione internazionale e dello status di rifugiato anche a chi ha commesso reati come violenza sessuale, produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, rapina ed estorsione, furto, furto in appartamento, minaccia o violenza a pubblico ufficiale l’inasprimento nei confronti dichi commette reati ma sappiamo anche che servono altre misure.
Come si coniuga il nostro diritto di sicurezza con la loro sicurezza e la giustizia nei loro confronti? Sono i poveri quelli di cui dobbiamo aver paura? La nostra sicurezza potrà essere garantita nel tempo solo con i rimpatri? Ammesso che la strada dei rimpatri sia percorribile…
Oggi si avverte da più parti la sensazione forte di trovarci difronte ad una emergenza che non è solo sociale, politica, economica ma è anche culturale e coinvolge pienamente anche le nostre comunità. Papa Francesco ci dice che non è peccato avere dubbi e timori ma che piuttosto il peccato è lasciare che siano le paure a determinare le risposte. Questo peccato è dentro di noi e attorno a noi.
Questo è anche il messaggio della lettera alle comunità cristiane a 25 anni del documento “ero forestiero e mi avete ospitato” della CEI “comunità accoglienti, uscire dalla paura” che forse potremmo riprendere come strumento di lavoro anche nei nostri gruppi.