Un viaggio nella miseria degli immigrati.
Di Don Silvano
“Vieni”, mi dice Carmelo, “andiamo a trovare un gruppo di stranieri a Rosarno accampati in una cartiera”. Entriamo e l’impressione è terribile: ammassati come animali dentro alla cartiera trasformata in dormitorio, in cucina, in luogo dove si fa ogni tipo di bisogno. Siamo entrati dentro: una montagna di cartoni fa da separé per ogni persona che vi abita. Mentre mi giro fra i vari settori dove un odore acre ti prende alla gola, mi chiedo come è possibile permettere una cosa simile. Non c’è luce, solo qualche fornello qua e là.
Ma ecco che sulla strada si ferma un pulman da cui scende un gruppo di africani con in mano sacchetti di frutta e verdura. Arrivano dai campi dove sono andati a giornata per la raccolta stagionale.
Mi rivolgo alla giornalista che ci accompagna e dico: “Come fa l’onorevole Maroni a chiamare criminali queste persone che arrivano dai campi per le varie raccolte stagionali che i nostri connazionali assolutamente si rifiutano di fare”? E poi parlano che gli stranieri ci rubano il lavoro!
All’inizio ci guardano con diffidenza: forse sono abituati a visite periodiche di polizia e carabinieri o di qualche caporale che cerca braccia per i campi.
Superata la diffidenza legittima, offriamo a tutti qualche cosa da mangiare che viene preso con grande soddisfazione: forse qualcuno non ha mangiato da giorni: sorrisi e ringraziamenti si leggono nei loro volti e nei loro occhi. Sono in prevalenza ganesi. E’ venerdì sera 17 luglio.
Veniamo a sapere che nella notte di domenica 19 luglio ha preso fuoco la cartiera. Andiamo a vedere: un disastro: tutto bruciato, persone accovacciate per terra fuori del capannone, rassegnate e impaurite. Riusciamo a capire che nella notte qualcuno è entrato dentro e ha dato fuoco a tutto: hanno perso documenti, soldi, effetti personali: rimanevano loro solo i pochi vestiti indossati per la notte. La motivazione ufficiale sui giornali è che forse un fornello rimasto acceso può avere provocato tutto questo disastro. Come si fa a credere ad una cosa simile? Ma è la versione ufficiale che permette al comune di disinteressarsi della cosa.
Gente inesistente e quindi gente che non ha diritti, che non esistendo non può pretendere nulla neanche un piccolo gesto di umanità. Forse no, forse il pulman è l’unico gesto di umanità del comune, se lo ha messo il comune.
Continuiamo ad andarli a trovare: martedì 21 luglio portiamo vestiti, cibo, scope, palette, rastrello, guanti monouso, mascherine e chiediamo di pulire il tutto come puntualmente hanno fatto.
Graziella Informa la caritas diocesana, chiediamo interventi per non lasciare abbandonate queste persone.
Vien da dire: dimenticati da Dio, e… dai cristiani?
Ritorniamo il giorno dopo. Ci dicono che devono andare via perché, da un sopraluogo della ASL locale, si scopre che il tetto del capannone semi bruciato contiene fibre d’amianto. Ma dove andare?
Un altro incontro con la caritas diocesana….: forse sono abituati a queste situazioni, forse anche loro non riescono a smuovere l’ente pubblico: comune, provincia, regione? Come coinvolgere l’ente pubblico? Come sensibilizzare la gente che va in chiesa? Come coordinare le varie caritas per un gesto più condiviso? Non posso pensare che ci sia solo indifferenza o peggio, odio verso queste persone. Sono solo braccia da usare, da sfruttare? Come è possibile lasciare le persone in queste condizioni? Già, se non esistono, non si può fare nulla.
… E’ giovedì 30 luglio, il 31 devo ritornare a Torino. Dico a Graziella: “andiamo a trovarli, scommetto che sono ancora rimasti nella cartiera”. Facile profezia. Erano lì: ne abbiamo contati 24 tanti quanti sono stati i gelati donati a loro: un sorriso, uno sguardo di una dolcezza sconfinata per dirci grazie. Ormai possiamo entrare e uscire quando vogliamo: ci conoscono e ci riconoscono.
Risaliamo in macchina, ma fatti pochi metri riconosciamo un altro ganese della cartiera. Lo riconosciamo perchè ha il braccio bendato. Ci fermiamo, gli diamo il gelato: che sguardo! Come fai Michell adesso? “Dio è grande” sussurra.
Ripartiamo per un altro luogo dove portare gelati: “la rognetta”: stessa situazione, stessi drammi, stessa indifferenza del comune. qui una scena incredibile: si strappavano fra di loro il gelato, unico gesto di dolcezza per chi dalla vita ha solo provato sofferenza, ingiustizia, stenti, miseria.
Siamo nel comune di san Ferdinando, ma anche qui, come a Rosarno non c’è il sindaco ma solo un commissario inviato dal Governo centrale: che può fare? Ha le mani “legate” e se non ci sono i sindaci, chissà come mai?
Riparto per Torino, ma un pezzo del mio cuore è rimasto là, alla cartiera, alla “rognetta”: “Signore fai sentire la tua voce come hai fatto per il popolo ebraico schiavo in Egitto perché anche questi sono tuoi figli”.
01-08-2009