L’emozione per “Lacrime di sale”
Venerdì sera, nel cortile dell’Housinng Giulia, lo spettacolo “Lacrime di sale” ha lasciato il pubblico in silenzio.
Tratto dall’omonimo libro di Pietro Bartolo e Lidia Tilotta, è uno spettacolo che scuote e interpella, conducendo nelle contraddizioni del nostro tempo con crudezza e insieme poesia: le torture nei campi di concentramento libici, lo scenario agghiacciante del traffico di organi, i morti in mare… e la vita e l’umanità che in tutto ciò cercano di farsi spazio.
Le “lacrime di sale” sono quelle che Pietro Bartolo bambino vedeva rigare la maschera di sale che suo padre pescatore aveva addosso di ritorno dal mare. E sono le stesse che oggi Pietro vede ogni giorno sui volti dei migranti che arrivano a Lampedusa. Figlio di un pescatore, figlio del mare, Pietro si è ritrovato ad essere pescatore di esseri umani, per trarli dal mare e restituirli alla vita.
Lo spettacolo attraversa la rabbia, il senso di smarrimento e di impotenza del “medico di Lampedusa” – come la sua gioia e il suo stupore di fronte all’invincibile forza della vita – conducendo ad incontrare volti e storie attraverso le sue parole, i suoi occhi, le sue orecchie e le sue mani.
Alla sua storia si intrecciano quelle disperate e struggenti di alcuni dei tanti migranti scappati dalle guerre o dalla fame, sono arrivati sull’«isola degli sbarchi» dentro orribili sacchi verdi, corpi inanimati, di chi fra le onde ha perso la propria vita o dei piccoli che non hanno nemmeno fatto in tempo a vedere la luce. Oppure di quelli sopravvissuti non si sa come a un viaggio terribile nel deserto, fra violenze e sopraffazioni inimmaginabili, che in mare hanno spesso visto morire i loro famigliari e, nonostante ciò, non si arrendono, determinati a iniziare una nuova esistenza in Europa.
Come Jerusalem, ragazzina eritrea di quindici anni che, non avendo più il ciclo da quattro mesi, temeva di essere incinta. In realtà durante la permanenza nel campo di raccolta in Libia, le era stata fatta una puntura che provoca un pesante squilibrio ormonale, soprattutto in donne in giovane età, fino a renderle definitivamente sterili. Perché un eventuale figlio costituisce un grave handicap per il mercato europeo della prostituzione. Quando Pietro le aveva comunicato che non era rimasta incinta, lei aveva esultato di gioia, rendendo quindi evidente che, per quanto lo avesse negato, il suo corpo era stato violato, come quello di migliaia di altre giovani donne.
O Mohammed, che – paralizzato – riesce ad attraversare il deserto solo grazie al fratello Hassan, che lo carica in spalla per un lungo viaggio dalla Somalia alla Libia. Nonostante le angherie e le minacce di morte dei trafficanti di uomini, i due riescono a imbarcarsi e ad arrivare in Italia, allo stremo delle forze, ma vivi. Sempre l’uno sulle spalle dell’altro.
E ancora Yasmin, che partorisce Gift circondata dall’affetto delle donne di Lampedusa; Omar, che non riesce a dimenticare; Faduma che, per crescerli, ha dovuto separarsi dai suoi sette figli; Kebrat, miracolosamente strappata alla morte; e poi Sama e il suo gatto, Mustafà e la piccola Favour.
Queste storie ci sono state raccontate dalle parole di Pietro Bartolo, adattate e interpretate da Antonella Delli Gatti, dalla musica di Rocco di Bisceglie e dalle immagini di Stefano Giorgi entrambi sul palco accanto ad Antonella. Venerdì sera lei ha prestato la sua voce a un uomo dal nome importante, quello di Pietro Bartolo; dal ruolo importante, quello del “medico di Lampedusa” che ha salvato tanti. Ma non un eroe solitario. Tra i porticati del social Housing Giulia del Distretto Sociale Barolo, risuonano le parole di un uomo grato e debitore alla sua comunità, perché sa che nulla avrebbe potuto fare senza il sostegno dei suoi lampedusani. Un monito a ricordare e valorizzare l’importanza della comunità, in particolare in questo preciso momento storico: “La pandemia – scrive Papa Francesco nel suo Messaggio per la 106° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato – ci ha ricordato come siamo tutti sulla stessa barca. Ritrovarci ad avere preoccupazioni e timori comuni ci ha dimostrato ancora una volta che nessuno si salva da solo. Per crescere davvero dobbiamo crescere insieme […]”. Chi ha ospitato lo spettacolo si è sentito rafforzato nel proprio proposito di lavoro di tessere reti di comunità.
“Quando si parla di migranti e di sfollati – scrive sempre Papa Francesco nel suo Messaggio – troppo spesso ci si ferma ai numeri. Ma non si tratta di numeri, si tratta di persone!”. Venerdì sera abbiamo sentito più volte l’invito a cercare volti, nomi e storie, dietro quei numeri. Volti che Pietro Bartolo ha incontrato direttamente. Nomi e storie che lui ha memorizzato e trasmesso, e che Antonella Delli Gatti ha raccolto per proseguire la staffetta di denuncia e giustizia, di memoria e sensibilizzazione. Staffetta di dignità. Di umanità.
“Cosa posso fare io?” – si è domandata Antonella di fronte a un dramma tanto grande. “Io sono un’attrice. Altro non penso riuscirei a fare per queste persone se non essere megafono per dire e denunciare”. E la dedica che Pietro Bartolo le autografa sul volume di “Le stelle di Lampedusa” è un vero dono, insieme augurio e grave responsabilità: “la mia voce, insieme alla tua” – le scrive –, possono fare molto”.
Questa confessione che Antonella regala ai presenti a conclusione dello spettacolo è una chiamata che interpella la nostra di responsabilità e ci porta a farci la stessa domanda di Antonella: “cosa posso fare io?”. Pietro Bartolo lo dice con forza che oggi nessuno può dirsi innocente perché ormai tutti sanno. E sapere chiede immediatamente una presa di posizione. Certo, a misura di ciascuno. Ma nessuno può dirsi neutrale ed estraneo.