Permesso di soggiorno a punti efficace solo con politiche di integrazione
ROMA (Migranti-press 7) – Il permesso di soggiorno sarà “a punti”: i richiedenti dovranno sottoscrivere un accordo per l’integrazione con una serie di doveri da adempiere, come la conoscenza della lingua italiana, l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale e un contratto abitativo. Così facendo accumuleranno punti, mentre se commetteranno reati ne verranno tolti. In due anni l’immigrato deve raggiungere 30 punti; se non arriva a tale soglia avrà un altro anno di tempo per arrivare al punteggio richiesto, altrimenti scatterà l’espulsione. Il provvedimento dovrebbe entrare in vigore a breve, con un decreto del Consiglio dei Ministri.
La proposta, comunemente chiamata “permesso di soggiorno a punti”, “non è nuova ed era stata lanciata nell’autunno 2008, all’interno della discussione sulla legge sulla sicurezza”, ricorda mons. Giancarlo Perego, Direttore generale della Fondazione Migrantes. Nei Paesi in cui è stato sperimentato (come Germania, Canada, Svizzera e Australia) è risultato “efficace”, perché inserito nel contesto di “una politica d’integrazione che favoriva il permesso di soggiorno in tempi brevi e certi”. Perché questo strumento possa funzionare, evidenzia mons. Perego, sono necessarie “una nuova legge sulla cittadinanza”, che “passi dallo jus sanguinis allo jus soli” e “aiuti la partecipazione politica e sociale”, una nuova normativa che “favorisca i ricongiungimenti familiari” e una politica del lavoro che “favorisca la formazione” e sia attenta alla “tutela della sicurezza del lavoro” con una specifica attenzione per i lavoratori stranieri.
Per mons. Perego occorre “distinguere tra le persone che iniziano un cammino di stabilizzazione nel nostro Paese e coloro che sono temporaneamente, e spesso precariamente, presenti sul territorio, oltre che tra i diversi tipi di lavoratori”. Quindi, spiega, “prima di elaborare strumenti che rendono nella pratica più difficoltoso il percorso d’incontro, regolarizzazione e integrazione” bisogna lavorare “sui cardini della cittadinanza e della residenza”, prevedendo anche uno stanziamento di risorse. “Senza una politica d’integrazione – prosegue mons. Perego – ogni strumento rischia di essere estemporaneo, oppure aggravare l’inefficacia di una situazione già di per sé assai precaria”. “Di fronte a un Paese che, anziché dopo 40 giorni, dà il permesso di soggiorno dopo un anno, e nel quale gli Sportelli immigrazione sono gravati da moltissimo lavoro”, osserva il sacerdote”, non si può “aggravare ulteriormente la burocrazia”, ma bisogna “costruire una politica legata al territorio, con la collaborazione di Comuni e associazioni”. Inoltre, rileva, “non è vero che gli immigrati non sono attenti a imparare la lingua o a iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale”; anzi, tale attenzione è “molto forte e dev’essere facilitata creando le condizioni” per raggiungere risultati positivi in tal senso.
Più che un permesso a punti è “un percorso a ostacoli”, afferma il Presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero. “Prima ancora di attrezzarci per costruire un percorso d’integrazione stiamo provvedendo a porre i paletti di un percorso a ostacoli, che già oggi per i cittadini immigrati che vogliono risiedere regolarmente in Italia è sufficientemente tortuoso. Già ora, infatti, per ottenere il permesso di soggiorno gli stranieri debbono soddisfare alcuni requisiti stringenti che fanno riferimento al reddito, all’abitazione, al lavoro”. Il permesso di soggiorno dovrebbe essere “la prima tappa di un percorso di avvicinamento alla cittadinanza”. Per questo avrebbero senso i requisiti di conoscenza della lingua italiana e della nostra Costituzione. Ma “chi accompagna oggi gli immigrati in questo percorso? Finora solo la Chiesa e il volontariato. Sono anni che chiediamo invano un piano organico e nazionale per l’insegnamento della lingua italiana”.
In queste condizioni, conclude Olivero, “il permesso a punti rischia di diventare l’ennesimo elemento di sofferenza e di vessazione psicologica e burocratica per le tante famiglie immigrate presenti nel nostro Paese”.