“In fuga dalla mia terra”: storie di viaggi senza biglietto di ritorno
Fonte: www.redattoresociale.it
Esce il libro di Emiliano Bos (Altreconomia edizioni): l’autore si è imbarcato sulle piroghe che dal Senegal salpano per le Canarie, inoltrato nel Sahara sui pick up e ha incrociato le rotte dei pirati tra Corno d’Africa e lo Yemen di al Qaeda
MILANO – La parola chiave è “partire”, o fuggire. “Che è sfida, urgenza, mancanza di alternativa. O rito di emulazione, come per molti giovani in Senegal – scrive Emiliano Bos nell’introduzione del libro “In fuga dalla mia terra” (Altreconomia edizioni) – che mantengono la rotta dell’anima costantemente rivolta a Nord. Il nostro Nord”. Ma anche la fuga dall’Italia di tanti migranti “assediati da norme che trasformano la mancanza di documenti in certificato di delinquenza”, scrive ancora l’autore nell’introduzione. Gli stranieri che hanno perso il lavoro nelle fabbriche del Nord Italia, scendono verso il Sud. Castel Volturno, ad esempio, è stato a lungo uno snodo di transito verso Lombardia, Veneto, Emilia. “Oggi è la rete di salvataggio per chi scivola infondo allo Stivale -scrive Emiliano Bos- I ritorni sono continui”.
Ma molti migranti, richiedenti asilo e rifugiati cercano di lasciare il nostro Paese. Abraham, 23enne eritreo, sogna la Gran Bretagna. Nel 2007, dopo essere sbarcato a Lampedusa, vuole proseguire il viaggio verso Londra, passando per Calais. Cinque volte tenta di imbarcarsi di nascosto nei traghetti che fanno la sponda con Dover e altrettante viene fermato. Torna in Italia, ma fatica a trovare lavoro, vuole ripartire: “Non è che non mi piace l’Italia. Ma dormire per strada o vagare da un dormitorio all’altro non è vita”. L’ultimo tentativo di fuga, pochi mesi fa: in aereo, destinazione Dublino, per poi entrare in Inghilterra via Belfast. “Ma mi hanno rimandato indietro, con un aereo dall’Irlanda”, racconta nel libro.
Storie senza biglietto di ritorno. Storie di uomini, donne e popoli che non si fermano davanti a nulla. Perché non possono, perché i luoghi da cui fuggono si chiamano guerra, fame, miseria. Emiliano Bos si è imbarcato sulle piroghe che dal Senegal salpano per le Canarie, o inoltrato nel Sahara sui pick up, le nuove navi del deserto; percorso la Moldavia delle madri in trasferta e sconfinato in Transnistria, il Paese che non c’è; ha incrociato le rotte dei pirati tra Corno d’Africa e lo Yemen di al Qaeda e condiviso l’attesa impotente di migranti d’ogni continente nelle “stazioni intermedie” delle migrazioni, Istanbul, sublime porta della Fortezza Europa, Calais con le sue baraccopoli a due passi dal sogno d’oltremanica, la Giordania, parcheggio per migliaia di profughi iracheni. (is)