Immigrazione: la convivenza nelle città
Un convegno a Milano promosso dalle Acli
MILANO (Migranti-press 15) – L’immigrazione e la convivenza nelle città. Se ne è parlato mercoledì scorso a Milano presso la sede provinciale delle Acli in un convegno nazionale promosso dalle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani.
“Nuovi cittadini e nuove città. Immigrazione e interculturalità in un Paese che cambia”. Questo il titolo dell’incontro cui ha partecipato, fra gli altri, la portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati Laura Boldrini; l’Assessore alla famiglia, la scuola e le politiche sociali del Comune di Milano Mariolina Moioli, il Direttore delle Caritas Ambrosiana don Roberto Davanzo, il Presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero.
Il tema – ha detto Antonio Russo, responsabile dell’Area Immigrati delle Acli – ha l’obiettivo di tenere aperta la ricerca di un pensiero e di un’idea di cittadinanza, sulla quale le ACLI da tempo “si vanno interrogando”. L’iniziativa di Milano assume “un valore specifico e un’importanza strategica in quanto si colloca – ha aggiunto – in una città che sta sperimentando un suo modello di integrazione, sollecitata da un fenomeno che per dimensioni e per importanza interroga ognuno per le sue responsabilità”. Nel nostro Paese vivono circa 4milioni e mezzo di cittadini stranieri, il 7,2% della popolazione, di cui, secondo dati ORIM (osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità), un quarto nella sola Lombardia (più di 1 milione tra regolari e non regolari), 418.000 nella provincia di Milano e 237.000 circa sono i residenti stranieri nella sola città capoluogo di regione.
Volendo sviluppare il confronto con un’altra grande regione italiana, questa volta del sud, quasi il doppio, probabilmente per le maggiori opportunità di lavoro, dell’intera Campania, dove pure gli stranieri regolari, fonte Caritas/Migrantes, sono circa 131mila, di cui 99mila occupati regolari, mentre la città capoluogo, Napoli, supera il tetto delle 61mila presenze, a conferma della complessità e varietà del processo migratorio nel nostro Paese, ha spiegato: l’Italia “deve al più presto dotarsi di politiche strutturali e di una legislazione capace di guardare oltre il contingente, liberandosi dalla ‘sindrome dell’assedio’. Occorre una legislazione nazionale nuova che rispetto all’impianto della legge 94/2009 cambi l’orientamento, la prospettiva e lo spirito stesso della normativa”.