Nella baraccopoli pure la parrocchia è clandestina
Fonte: www3.lastampa.it
Reportage: Video: gli ultimi in riva alla Stura
Rom e romeni vivono accampati sulla Stura. Una chiesa e un market in mezzo a topi e rifiuti
NICCOLO’ ZANCAN
TORINO : Preghiera dei giorni normali, fra topi, pozzanghere e bottiglie di birra: «Preghiamo per noi e per i nostri fratelli che ancora non sono liberi, che ancora non hanno da mangiare e cercano un po’ di giustizia – dice il diacono Ovidio, 23 anni, maglietta nera a maniche corte – Gesù è un buon pastore e aspetta tutti sulla porta del paradiso».
Sulla porta della baracca 33, alle cinque di pomeriggio, ci sono uomini e donne, ragazzine in canottiera e bambini in mutande. La messa è finita. In questi giorni il sacerdote pentecostale Marcel è in Romania, ma le parole di Ovidio sono state comunque di conforto per tutti. Ora ognuno va per la sua strada – sentieri di fango che salgono e scendono in mezzo a sterpaglie e rifiuti – nella sterminata baraccopoli di Lungo Stura Lazio.
In questi sette anni Torino non ha affrontato il problema, ma non si può dire che se ne sia disinteressata. Piccole bonifiche, spostamenti temporanei subito rientrati, progetti abortiti, dentro a lunghi periodi di nulla. Se ne è occupata assalita dai sensi di colpa, con la crescente preoccupazione dei residenti della zona, ma anche grazie alla generosità di molta gente: maglioni, scarpe, cibo, passeggini.
Lungo il torrente è nata una città nella città: 500 persone, centocinquanta minorenni, cento bambini in età scolare, decine di neonati, una chiesa, uno spaccio di biscotti e lattine. Ci sono i numeri sulle baracche scritti con la vernice azzurra – segno dell’ultimo censimento del nucleo nomadi della polizia municipale che risale a gennaio – come fossero numeri civici. Nuovi insediamenti stanno sorgendo in direzione dell’Iveco. Ultimamente c’è stato un ricambio di persone, sempre più arrivi che partenze.
All’inizio la chiamavano la tribù dei mangiatopi ma non è vero, non è mai stato vero. Questo campo di metropoli, con Superga all’orizzonte, sembra fatto apposta per sfatare i luoghi comuni. All’ora di cena Alexandra e Andrea cucinano minestroni di verdura e pollo: «Abbiamo bisogno di lavoro – spiegano – questa è la prima cosa, la più importante. La seconda è riuscire a portare via l’immondizia accumulata in tutti questi anni». Una montagna maleodorante in mezzo alle baracche.
La foto di Padre Pio è attaccata vicino allo specchio rotto, le ossa nel piatto finiscono ai cani. Il marito di Alexandra ha scavato un pozzo di trenta metri fino a trovare l’acqua, la tira su con un secchiello agganciato a un sistema di funi. Dice che è buona. Bevono e non hanno rimpianti: «Qui si sta meglio che in Romania».
Come vive, signora Andrea? «Chiedo l’elemosina in piazza Massaua, vado in pullman. Guadagno 8 o 10 euro al giorno, mi bastano per dare da mangiare ai miei bambini. Io non fumo e non bevo caffè». Ci sono anche ladri, sicuramente. Ma non solo ladri. Molti uomini vendono ferri vecchi al Balòn. Alcune donne si prostituiscono per venti euro sullo stradone che costeggia la baraccopoli. Ci sono badanti, imbianchini, ragazzi che lavorano al mercato.
I residenti sono tutti romeni. Molti rom. Arrivano a Torino e partono da qui – per loro questo indirizzo esiste sulla mappa del mondo e se lo tramandano in qualche modo – spesso senza riuscire ad andare oltre. Ma non è tutto come in un film Kusturica, anche se non mancano galline, pezzi di refurtiva spolpata e musica gitana sparata grazie a un allacciamento farlocco alla corrente.
Alle sei di sera arriva un furgone azzurro guidato da una volontaria dell’associazione Terra del Fuoco. Carica Alin, Saraii, Marta e altri sette bambini per andare a fare scuola di circo. Intanto Ines torna a piedi da via Bologna: «Curo una signora anziana – spiega – non ho il permesso di soggiorno ma un lavoro sì». Molte bici appoggiate alle baracche, qualche vecchia auto scassata.
Fernando, 10 anni, indossa una maglietta con il logo di Sharm El Sheik, va in seconda B, preferisce matematica, il suo migliore amico si chiama Giovanni, ed è un bambino uguale a tutti gli altri, fino a quando non ritorna qui: «In palestra giochiamo a calcio».
Il più grande insediamento della città è l’unico completamente abusivo. Continua a proliferare a dieci metri dal fiume. Senza acqua, né luce, né servizi (chi ha il generatore è il più ricco e potente del villaggio). Il paradosso è che, a detta degli operatori sociali, questo è il campo meno problematico di Torino. Ci si entra senza bisogno di essere scortati dalle forze dell’ordine. Vero: in passato ci sono state risse, litigi da ubriachezza feroce. Nel 2006 un uomo è morto carbonizzato in circostanze misteriose. Ma ci sono anche i famigliari di Ion Ursu, che aspettano di essere riconosciuti come cittadini normali: «Mio padre è stato investito qui davanti dall’auto di un italiano, era ottobre 2008. L’assicurazione non vuole pagare il risarcimento». E poi c’è la baracca al fondo, con le sedie blu, un altare, una chitarra e una bottiglia d’acqua, per quando il sole toglie il fiato. Biserica, betel, chiesa, hanno scritto. Anche oggi vanno a pregare per quelli che stanno peggio di loro.
è da 5 minuti che sto cercando di scrivere un commento , ma non ci riesco perché non ci sono commenti. O meglio l’unico commento è alla visita del Papa , dove gli si fa vedere che è tutto bello e funzionante a Torino , e ci accontentiamo di una preghiera : preghiamo per i poveri , ecc. Io mi vergogno di pregare. Demandiamo a Dio i problemi del nostro egismo , del nostro perbenismo ,dei sorrisi ipocriti .Costruiamo chiese , case e facciamo olimpiadi e lasciamo nel fango questi veri poveri Cristi . Signore perdonaci !Scusate l’amarezza.