Da badanti a datrici di lavoro…il passo è stato breve!
Fonte: www.universando.eu
di Valentina Barile
Nel terzo millennio si diffuse un massiccio fenomeno immigratorio dall’est, caratterizzato per la maggior parte da donne in cerca di un impiego, che nei loro paesi in crisi non trovavano; dunque, molte di esse erano sposate e, a dispetto di come avvenne nell’immediato dopoguerra italiano, quando era il capofamiglia a sacrificarsi per dovere e a lasciare la propria Nazione per cercare fortuna altrove, ora erano esse le eroine familiari, che, a parità di condizioni si trasferivano in sostituzione ai loro mariti, i quali, rimanevano nella propria patria a “gestire” parte degli stipendi che inviavano loro le proprie consorti. Alcune di esse, assunte senza un contratto lavorativo e, per giunta, senza permesso di soggiorno, furono rimpatriate, altre si stabilirono in Italia, conquistando a tutti i costi una dignità nazionale e, perciò sociale, chiamando con sé tutta la famiglia; altre ancora, dopo aver ottenuto ciò che era previsto dagli obiettivi prefissati, fecero ritorno nelle proprie nazioni, con un consistente bottino. Beh, altre pensarono bene di sposare i propri “datori di lavoro” con lo scopo dell’eredità, giocando quindi sporco, ma pur migliorando la propria condizione.
Tra quelle menzionate vi fu la categoria delle badanti emancipate, così definite per la vita che pian piano iniziarono a condurre dopo alcuni anni dalla venuta nel bel paese; una vita questa più o meno agiata, seppur stentata nel primo periodo di permanenza, magari fatta anche e, principalmente, di evasione fiscale, di incertezze e di espedienti, ma col tempo poi messa a posto.
Ebbene, era il periodo in cui l’Europa si trovava di fronte ad una crisi economica che man mano andava coinvolgendo alcuni dei suoi stati, tra di essi in modo pregnante l’Italia, invasa da riforme premature o non adatte al momento storico, da disastri remoti che incombevano e che dovevano essere risolti con urgenza. Insomma, la crisi governativa, lo scontro tra vari ideali, il tasso di disoccupazione si dilatavano e, la conseguenza ricadeva sui giovani, i quali da un giorno all’altro perdevano il lavoro, altri faticavano a trovarlo, anche perché la soglia culturale accresceva di livello e la domanda di mercato diventava sempre più insufficiente.
La categoria delle badanti rientrava nello strascico del settore volto al riparo, rimanendo illibata. Paradossalmente molti dei giovani che si trovarono ad affrontare grosse difficoltà, dovettero rifarsi ad esso, come possibilità di mantenimento.
Caso specifico. Kalyna era una donna ucraina di trentadue anni, venuta in Italia con suo marito, il quale era l’unico nella coppia ad avere un permesso di soggiorno, quindi a lavorare regolarmente. La donna aveva un impiego dignitoso presso un industriale dell’Italia meridionale, il quale offriva ad essa un ottimo incarico e una comoda casetta che accogliesse anche la sua famiglia e il suo appena nato pargolo. Dopo tre anni di lavoro a servizio dell’imprenditore, il suo tempo indeterminato finì perché egli ebbe una morte improvvisa, nonostante fosse già malato. La badante sprofondò in un’acuta depressione a causa di quella scomparsa inaspettata e non si dava pace per il compianto gentiluomo. Tuttavia, era scontato che fosse preoccupata anche, ma forse più di ogni altra cosa per la sua sorte, restando affezionata all’uomo. O alla vita sempre più confortante che avesse intrapreso? Beh, la famigliola versò per un po’ di tempo in una fase molto complicata e imbarazzante di transizione e di contrattazione con gli eredi, per evitare a tutti i costi il ritorno in Ucraina.
Dopo varie battaglie terminate con esito positivo, i coniugi mantennero entrambi il lavoro in Patria, senza trasferimento in altre direzioni. Traslocarono in un nuovo appartamento, rispondente alle proprie esigenze, collocato verso il centro di un paesino meridionale, confinante con il loro vecchio domicilio. Dunque, essi portavano avanti la vita familiare regolarmente poiché entrambi godevano di tutti i diritti riconosciuti dallo Stato italiano a coloro che ne hanno la cittadinanza.
La forza lavoro di Kalyna richiedeva sempre più sovraccarichi e si trovava ogni volta a dover far fronte a mille complicazioni riguardo al controllo del bambino, fin quando non reputò opportuno affidarlo a qualcuno che se ne occupasse in alcune ore del giorno. Ora l’ex badante era coordinatrice di un’impresa di pulizie che prestava servizio nel grande centro commerciale di proprietà dell’imprenditore, così poteva permettersi di sostenere una spesa, seppur non contenuta. Si rivolse ad una neolaureata di sua conoscenza che era in cerca di lavoro.
È assurdo quanto bizzarro questo fatto per la cultura occidentale, poiché il solido e secolare assetto della nostra società ci abitua ad assumere una sorta di posizione privilegiata nei riguardi di chi ha i nostri stessi diritti e doveri come essere umano e cittadino di uno Stato. Siamo stati educati a vedere gli immigrati come gente meno fortunata e impossibilitata a migliorarsi e, quasi per legge, destinata a non evolversi mai, ma a tirare a campare ed essere al servizio perenne di noi Occidentali e Occidentalisti.
Tuttavia, tra le due donne avvenne lo pseudo colloquio di lavoro per stabilire l’orario giornaliero e le relative modalità di pagamento. La dottoressa venne assunta con la qualifica di baby-sitter “a tempo determinato” con una tipologia di orario vicina al part time, senza contributi versati e priva di copertura assicurativa.
A tempo determinato perché si trattava di un lavoro che avrebbe interessato solo il periodo estivo, considerando la chiusura delle scuole e il disimpegno del bambino. Una volta venuto il mese di settembre, le donne avrebbero interrotto il “rapporto lavorativo” e la neolaureata avrebbe intrapreso a pieno ritmo il porta a porta nel mercato della crisi.
Italiani che trovano impiego, seppur momentaneo e poco remunerativo, presso extracomunitari stabilitisi con dignità in Patria: sconfortante per certi versi poiché è chiaro il gradino che si stia scendendo a causa della inesorabile recessione che sta avvenendo nei paesi dell’ovest, da sempre colossi storici di benessere e di progresso, raggiunto in gran parte dei settori di sviluppo e, confermante il suo dinamismo laddove occorra miglioramento. Nonostante ciò, il fattore positivo che si individua nella bolgia della crisi è la scialuppa di salvataggio transitoria per i giovani, quale forza motrice di una collettività statale, i quali in attesa del tanto sospirato welfare state si accingono ad inseguire la propria indipendenza economica, inaugurando il proprio cammino lavorativo con qualsiasi attività dignitosa, sebbene non corrisponda alle proprie ambizioni, ma che li aiuti a raggiungerle nel minor tempo possibile, chissà servendosi di mezzi collaterali che li renda più appetibili sul mercato.
Valentina Barile
Anno 0 Numero 17 Articolo 30