«Non cacciatemi, sennò mi uccido»
Il manifesto 19-3-2008
Il dramma di una rifugiata, la quindicenne Arigona, conquista l’opinione pubblica austriaca e diventa il simbolo della lotta alle espulsioni dalla fortezza Europa Angela Mayr Non era mai successo che un dramma di rifugiati balzasse in primo piano per mesi in Austria. Parliamo del caso di Arigona Zogaj, ragazza quindicenne di origine kosovara cresciuta in Austria, che si è battuta contro la sua improvvisa espulsione in Kosovo, diventando il simbolo della resistenza dei rifugiati contro le espulsioni, prassi ordinaria nella fortezza Europa, tanto più in un paese dalle leggi d’asilo e d’immigrazione tra le più restrittive… Ma l’ingranaggio si è inceppato, intorno al caso di Arigona a tutt’oggi irrisolto si è mobilitato l’intero paese, è nato un movimento inedito di cittadini a favore del diritto di permanenza dei «clandestini» ormai integrati. Nel luglio scorso la domanda d’asilo della famiglia di Arigona – arrivata in Austria sette anni fa – è stata respinta anche in terza istanza. Così da richiedenti asilo sono diventati respinti, perfettamente integrati com’erano, una bella casa e un lavoro di entrambi i genitori, gli Zogaj di colpo sono illegali. Nel settembre scorso a Frankenburg, piccolo paesino dell’Alta Austria, la casa di Arigona e famiglia viene circondata da sei camionette della polizia. Prelevano il padre Dzevat Zogaj, e i figli Alban, Alfred, strappando i più piccoli spaventatissimi, Albin e Albona, dalle braccia della madre. Senza il tempo di fare le valige, sono già a bordo della aereo che li scaricherà a Pristina. Arigona per sua fortuna non era a casa, «non tornarci» l’avvertono le amiche austriache. Alla madre è concesso di rimanere finché non si ritrova la figlia minorenne, ma è ricoverata per collasso cardiocircolatorio per lo shock. Arigona intanto si nasconde. Dalla clandestinità ha mandato una lettera, poi un video, trasmesso da tutti i tg che ha fatto breccia nell’indiferenza: «Non cacciatemi, se non potrò restare in Austria mi ucciderò. Vivo e studio da voi, i miei amici sono austriaci, vi chiedo solo quello che vi chiederebbe ogni mio coetaneo: una vita normale qui in Austria dove sono cresciuta», appellandosi al paese nel dialetto dell’Alta Austria, «la nostra casa nel Kosovo è stata distrutta dalla guerra, non abbiamo nessuna prospettiva, cosa abbiamo fatto per dover andare via?». Scatta una mobilitazione senza precedenti. Intellettuali e movimenti scendono in piazza. Gente comune nelle piccole città e villaggi dà vita a comitati di sostegno e di lotta contro le espulsioni di rifugiati «illegali», per il diritto di permanenza. In Alta Austria ne sono stati creati 65, uniti in un coordinamento « Land fuer Menschen » (terra per persone). La minaccia di espulsione incombe su altre 30mila casi di illegali. Per protesta contro la sua espulsione un ragazzo africano di 18 anni, Dennis Maklele ha tentato il suicidio nella piazza principale di Steyr – alla fine viene salvato. In una scuola è stato girato un film che mostra lo sconvolgimento di chi rimane se dalla classe all’improvviso viene a mancare un compagno o allunno. «Mio figlio Simon di sette anni ha pianto per notti intere chiedendo di Albin e Albona» ci racconta Sabine Leitner vicina di casa di Arigona. Da Frankenburg un gruppo di abitanti e vicini di casa di Arigona parte in direzione Kosovo, per Kaliquan, nel nord-est del paese, portando vestiti, viveri , soldi, libri e il giocattolo preferito di Simon per Albin. Il gruppo di austriaci tocca con mano le condizioni di vita spaventose: la casa degli Zogaj ancora distrutta, il padre e i 4 figli, privi di sostentamento, non hanno un posto dove stare, dormono qua e la da vicini o parenti, su materassi sottili e ammuffiti. La corrente va e viene. La disoccupazione che in Kosovo è al 60%, a Kaliquan arriva al 90%. Albin e Albona si sono ammalati, non riescono ad inserirsi a scuola perché parlano solo il tedesco. «Riportateci con voi a casa» chiedono agli amici austriaci. In Austria Dzevat Zogaj e anche la moglie Nurije lavoravano in un allevamento di polli il cui padrone li rimpiange perché «erano totalmente affidabili, non come gli altri che se ne vanno dopo qualche settimana». A Kaliquan invece i Zogaj non sono particolarmente amati, perché palesemente privi di entusiasmo patriottico. Comune e provincia sostengono Arigona, la regione Alta Austria (governa una coalizione di popolari e verdi) preme per un permesso umanitario che solo il ministro degli interni può concedere su proposta delle regioni. Il 70% della popolazione spesso più incline a sentimenti xenofobi vuole che la famiglia del Kosovo possa riunirsi e restare in Austria. Il presidente della repubblica Heinz Fischer (Spoe) ha chiesto una revisione delle leggi d’asilo e d’immigrazione, che il precedente governo di centrodestra (la coalizione tra popolari , Oevp, con il partito xenofobo nazional-populista di Joerg Haider, Fpoe) aveva inasprito e una amnistia per gli illegali. Ma l’attuale coalizione di governo tra Spoe e popolari del cancelliere socialdemocratico Alfred Gusenbauer in carica da un anno persegue la stessa linea di durezza. Gusenbauer si è espresso per una soluzione
umana, salvo poi accodarsi anche in questo caso alle scelte dell’alleato di governo del partito popolare, all’inamovibile ministro degli interni Guenter Platter. Che prometteva una soluzione sollecitando il parocco di Ungenach Josef Friedel a fare da mediatore per far ricomparire Arigona. Ricomparsa la ragazza, il ministero cambia le carte in tavola, tirando fuori dal registro della polizia (vincolato da segretezza) presunti reati – rivelatisi inesistenti – commesi dagli Zogaj. Un metodo non isolato, proprio in questi giorni il ministero degli interni è investito da un terremoto politico giudiziario, per abusi di potere costanti, corruzione e traffico d’armi in Iran, in tutto 20 capi d’accusa tra cui anche il caso Zogaj. Intanto la montatura è andato a segno, l’opinione pubblica si è divisa, l’entusiasmo spento. Ecco così arrivare il no del ministro degli interni a fine 2007, niente permesso umanitario di permanenza per Arigona, che può finire in Austria l’anno scolastico, ma dopo, a luglio 2008, verrà espulsa anche lei. Un duro contraccolpo politico e umano, che fa rialzare la testa ad un’altra Austria, quella razzista. «Da quando il ministro degli interni ha negato il permesso umanitario ad Arigona il clima è pesantissimo. – ci dice Josef Friedl il sacerdote che si è preso cura di Arigona – Ricevo lettere minatorie e minacce tutti i giorni, anche una corda per impiccarmi, scritte ingiuriose sui muri ed aggressioni. Tutto parte dall’area bruna degli ex-nazisti che ruotano intorno alla Fpoe e al Bzoe». Ma la vicenda non è chiusa. E non è cambiato nulla nemmeno con l’indipendenza autoproclamata del Kosovo. Del Kosovo Arigona non ne vuole proprio sapere. Sta male, ha avuto un crollo di nervi, è considerata a rischio suicidio da una perizia commissionata dalla regione Alta Austria. Peggiore ancora la situazione della madre Nuriel che rivive i traumi della guerra e della fuga dal Kossovo, con la paura che i figli in Kosovo possano morire. «Ritraumatizzazione multipla» si legge nella perizia della clinica. Troppo anche per il ministro degli interni Guenter Platter che, di fronte alle perizie cliniche, si è mostrato spaventato. «Si prospetta probabilmente una soluzione ‘all’austriaca’» ci riferisce un esponente della Volkshilfe, una grande Ong austriaca: Arigona non verrebbe legalizzata ma neanche espulsa, avrebbe fatto capire il ministro in via informale. Proprio in questi giorni sono partite due iniziative: un ricorso della regione Alta Austria contro il rifiuto del permesso umanitario, e una domanda per un permesso di studio in Austria per i fratelli di Arigona, Albin e Albona, presentato dalla Volkshilfe