Di pari passo l’integrazione ecclesiale e sociale degli immigrati
ROMA/ITALIA (Migranti-press 46) – “L’integrazione ecclesiale e sociale degli immigrati in Italia”. Su questo tema l’Ufficio Nazionale per la Pastorale degli Immigrati e Profughi della Fondazione Migrantes si è confrontata in un convegno svoltosi lo scorso 16 novembre a Roma.
Ad aprire i lavori l’arcivescovo mons. Bruno Schettino, Presidente della Commissione CEI per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes che, nel portare il suo saluto ai partecipanti, ha sottolineato che integrazione sociale ed ecclesiale degli immigrati devono “andare di pari passo”.
Gli Orientamenti pastorali dei vescovi italiani per il prossimo decennio, dal titolo “Educare alla vita buona del Vangelo”, indicano nell’immigrazione – ha poi detto mons. Giancarlo Perego, Direttore generale della Fondazione Migrantes, introducendo i lavori – una delle “più grandi sfide educative”. La “riflessione di oggi – ha aggiunto – credo, possa inserirsi bene in questo cammino educativo che abbiamo iniziato come Chiesa, di cui l’integrazione, l’inclusione sociale è uno dei volti più credibili”. La mobilità – ha spiegato mons. Perego – chiede oggi di “osare storie e percorsi di inclusione nuovi. L’inclusione è un percorso educativo e non immediato, quotidiano e non occasionale, che chiede che tutti siano protagonisti, responsabili. É un percorso di libertà certamente, ma anche che chiede uguaglianza e fraternità. É un percorso che salvaguardia l’unità e la differenza, l’identità e l’alterità, evitando omologazioni e qualunquismi”. Per il Direttore della Migrantes si tratta di un percorso “integrale”, che guarda “a tutto l’uomo, secondo la prospettiva del personalismo. E’ un percorso di servizio e di servizi personalizzati e non generalizzati. É un percorso di ascolto, di comunicazione tra mondi che partono da lontano”.
“É – ha aggiunto – un percorso di ‘rete’, fatto insieme, ‘sussidiario’, dove solidarietà e condivisione prendono il posto della paura e della diffidenza. É una percorso di partecipazione e di cittadinanza rinnovato”. L’inclusione – ha spiegato ancora – è un percorso, per finire, che cambia la città, ma anche la tutela da conflittualità, divisioni, discriminazioni ed esclusioni”.
Parlare di “Chiesa di comunione” è “un dato acquisito sin dal Concilio Vaticano II. Il problema è come parlare di questa comunione e questa domanda viene sollevata dagli odierni flussi migratori”, ha sottolineato poi Sandra Mazzolini, Docente di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana: gli uomini “si sono sempre mossi per vari motivi ma oggi questi flussi hanno caratteristiche inedite rispetto al passato. La diversità culturale la incontriamo in casa nostra, nei posti di lavoro, nella società. Credo – ha aggiunto – che la presenza di tante persone che provengono da tanti luoghi del mondo pone, quindi, il problema di comprendere la Chiesa non basandola su un principio di omogeneità. Oggi la grande sfida è l’integrazione delle differenze, non in una sorta di esclusivismo ma di inclusivismo dove le differenze sono integrate. Non è un processo semplice”.
Per Mazzolini i processi di integrazione richiedono una “particolare attenzione ad una categoria che non è solo teoretica ma anche pratica che è la categoria del dialogo. Per dialogare veramente – ha affermato la docente – occorre partire dalla consapevolezza che non si dialoga perché l’altro la possa pensare come me ma si dialoga mettendo alla base la conoscenza e il rispetto reciproco. Bisogna, quindi, dialogare evitando un linguaggio negativo: come il dire dell’altro un diverso da me: questo non favorisce il dialogo ma lo ostacola”.
“Nessuna pastorale, nessuna struttura organizzativa può avere senso pieno se non a partire dalla visione di Chiesa cui si vuole riferire”, ha detto p. Luigi Sabbarese, Docente di Diritto Canonico alla Pontificia Università Urbaniana intervenendo al convegno.
“L’effetto visibile della comunione – ha spiegato – che la Chiesa particolare vive con e per i migranti si ha nelle strutture pastorali proprie, ma, prima e oltre le strutture, bisogna insistere sul fondamento che deve guidare l’azione della Chiesa particolare verso i migranti; tale fondamento si rinviene nella communio che deve trasparire anche nei criteri della territorialità e della personalità, criteri che regolano il costituirsi delle strutture pastorali per i migranti e per le varie forme di mobilità”. Per il docente “ogni azione pastorale, come quella per i migranti, si colloca nell’ambito dell’ecclesialità e della missionarietà. Anche la pastorale per i migranti ha la sua scaturigine nel mistero della Chiesa; tale pastorale, proprio per la peculiare condizione di sradicamento e di rischio di disgregazione cui i migranti, che ne sono i destinatari, sono sottoposti, ha bisogno di riferirsi al suo naturale collante che è la comunione”.
Le Chiese particolari possono “diventare, per loro stessa natura – ha spiegato p. Sabbarese – i luoghi dove i migranti sperimentano la profonda unità dell’essere ecclesiale, dove la loro identità culturale viene salvaguardata e accompagnata da un modo di esprimere la propria fede, anche se con elementi etnico-linguistici, religiosi e devozionali, che necessariamente si diversificheranno da quelli propri delle chiese particolari di arrivo”. La presenza dei migranti nella Chiesa particolare – ha spiegato – è “un appello e un richiamo continuo a riconoscersi sempre più come questo strumento che ha bisogno di arricchirsi di diversità per vivere autenticamente l’universalità”.
Uno sguardo al tema migratorio in Europa è stato presentato dal Direttore di SIR Europa Paolo Bustaffa, secondo il quale l’attenzione delle Chiese europee nei confronti dei migranti in Europa è positivo: “molti infatti gli interventi degli organismi ecclesiali europei dei vari episcopati su questi temi che invitano e vanno nella direzione del rispetto della dignità di ogni persona”.
Bustaffa ha sottolineato “l’urgenza di un linguaggio rispettoso ed esaustivo quando parliamo di immigrazione”. Un impegno – ha detto il Direttore del SIR – “portato avanti anche dalle varie Istituzioni europee che emanano direttive sempre più incentrate sul rispetto, pietra miliare per una vera integrazione”. Direttive “non sempre però seguite dai Paesi”. Da qui, ha spiegato il giornalista, la “ricerca a trovare una linea comune europea sul tema migratorio” a “tutela soprattutto delle persone, delle famiglie e dei lavoratori che giungono” da realtà di sofferenza e conflitto”. C’è, quindi, un “urgente” bisogno – ha concluso Bustaffa, citando vari documenti sia ecclesiali che di Istituzioni europee – di “rafforzare una cultura dell’accoglienza che non rinuncia a quella della legalità”.
Il convegno si è svolto a due anni dall’incontro nazionale sul tema “Integrazione ecclesiale degli immigrati in Italia”, che l’Ufficio Nazionale Immigrati e Profughi della Fondazione Migrantes aveva promosso a Roma nell’ottobre 2008. Da allora un gruppo di studio comprendente professori universitari, rappresentanti di istituzioni e operatori pastorali, ha svolto presso la sede della stessa Fondazione Migrantes un lavoro di ricerca riguardante sei sezioni tematiche dell’integrazione: ecclesiale, religiosa-ecumenica, pastorale, sociale, economica, culturale. Nel convegno del 16 novembre sono stati illustrati i risultati a cui sono giunti i gruppi di studio, le sfide poste dall’attuale multi-contesto e il tipo di integrazione auspicabile.
“Quando si cerca la via per procedere correttamente nell’integrazione – ha detto. P. Gianromano Gnesotto, Direttore della Pastorale per gli Immigrati della Fondazione Migrantes, concludendo i lavori – bisogna immaginare qualcosa di nuovo e di originale rispetto ai modelli esistenti, affondando le radici sulla dignità della persona e dei suoi valori irrinunciabili”.
“È un processo laborioso e progressivo – ha aggiunto il religioso – che privilegia la via del dialogo e dell’incontro nei termini del reciproco rispetto ed apprezzamento delle rispettive diversità, destinate a tradursi in reciproco arricchimento”. Il “suo vero nome”, in ambito ecclesiale – ha detto p. Gnesotto – è quello di comunione”: in ambito sociale “ci sembra appropriato il termine interazione, un’azione tra, appunto un’azione fatta assieme, pur con il corredo di aggettivi che qualcuno si sente in obbligo di accodare al termine: positiva, ragionevole…”.
“Considerare il tema della religione e dell’appartenenza confessionale degli immigrati come componente decisiva per i processi di integrazione sociale – ha aggiunto – è una tendenza che lentamente si fa strada anche nel contesto italiano, in quanto la componente religiosa assume un ruolo importante nella costruzione dell’identità individuale e collettiva”. Come Chiesa “ci impegniamo in tutti e due fin da quando la rilevanza delle migrazioni alla fine dell’Ottocento che investivano in maniera massiccia l’Italia e le altre nazioni europee portava a condurre questi tempi teorici e pratici anche oltreoceano. Mettere insieme qui i due tempi è invitare a non lasciar fuori dai discorsi il tema religioso, che grande parte nei processi di integrazione ha”.
Occorre – ha concluso p. Gnesotto – partire dalle persone “ancor prima delle strutture”.